Matteo Quaglini
Tu chiamale se vuoi contraddizioni. Nei giorni in cui Mogol prepara una nuova avventura professionale, le parole parafrasate di una sua famosa canzone tornano utili per descrivere l’ennesimo schizofrenico Roma-Inter. E in particolare la prova dell’Inter una volta in più pazza.
Fedelmente ancorata ai suoi tratti psicolabili la squadra di Spalletti va due volte in vantaggio all’olimpico, terra anche fra l’altro di spalline conquiste, e per due volte si fa raggiungere dai “ boys” romanisti buttando via così una vittoria che l’avrebbe portata al secondo posto in attesa del risultato del Napoli stasera impegnato tra le mura delle forche caudine atalantine.
Occasione persa e rimpianti molti. Il manifesto interista dei sogni infranti sta nell’espulsione di Spalletti avvenuta sul 2-2 quando ancora la possibilità di vincere all’ultimo tuffo c’era nelle speranze del carrozzone della beneamata. Cosa c’è di peggio che perdere una partita? Pareggiarla diceva un vecchio adagio che sapeva come l’equilibrio stucchevole del non perdere equivale, a volte, a vivere nel limbo dei sogni immancabilmente irrealizzati. Spalletti queste cose le sa e per questo s’imbufalisce nella migliore tradizione toscana, perché come a Londra l’Inter rimanda ancora l’appuntamento con la sua maturità calcistica.
Eppure la buona volontà iniziale c’era e prendeva i contorni della consapevolezza sotto forma del 4-3-3 pensato per avere un vantaggio numerico a centrocampo e dare meno forza ai ritorni di Florenzi schierato esterno tattico da Di Francesco.
Lucianone reprobo dell’agorà romanista proponeva anche una diversa conformazione dell’attacco. Non potendo contare sul suo figlioccio calcistico Nainggolan optava per il trio Keita, Perisic e Icardi, l’idea era chiara aiutare Icardi a far gol e mettere la squadra nella condizione di segnare o di forza con Keita o di testa e d’acrobazia col croato vicecampione del mondo. Tre frecce nell’arco interista in grado di colpire la fragile difesa della Roma.
Alla fine del primo tempo l’idea aveva assunto i contorni della realtà: 1-0 gol di Keita esempio perfetto della teoria dell’attrazione. Pensa intensamente a una cosa, poniti con le tue azioni nel giusto allineamento, vedi ciò che poi avverrà e raccogli i frutti della tua scienza. Per una squadra legata all’imponderabile come l’Inter manna dal cielo allo stato puro.
Una manovra semplice per tre interpreti a confermare, questo sì, la migliore coralità della squadra. Apertura di Joao Mario, cross di D’Ambrosio e intervento di Keita tre passaggi e via in porta come predicava Helenio Herrera in una Inter più grande di questa. Vantaggio da amministrare e incrementare visto che un minuto prima lo stesso d’Ambrosio aveva steso in area l’enfant prodige Zaniolo e Rocchi aveva ricordato a tutti i romanisti le gesta di Torino dell’ottobre di tre anni fa.
Ma tant’è il calcio è anche “mors tua vita mea”, come raccontavano gli antichi nella memorabilia delle loro battaglie. E visto che Roma-Inter rimane sempre una delle migliori battaglie campali del campionato, l’Inter avrebbe dovuto dosarsi meglio, strutturarsi forte ancorata com’era a un sistema di gioco che le permetteva il controllo delle operazioni di centrocampo. Invece dopo un destro di Icardi murato da Santon, il trio Brozovic, Borja Valero e Joao Mario lasciava che la palla filtrasse verso Under col tiro del turco tornavano i fantasmi di Torino e Parma, di Bergamo e Londra: ecco l’avversario ci fa gol.
Sull’1-1 l’Inter ha mostrato una qualità che in prospettiva può tornare utile nel cammino verso il liderato del campionato, il vero sogno alla lunga dell’impero Suning e dell’Internazionale Football Club. La qualità è questa: la capacità di ribaltare le difficoltà.
Quando si hanno Keita e Perisic sulle corsie esterne si può giocare anche in contropiede, non c’è vergogna tattica. Così i velocisti di Spalletti, mentre la Roma cercava di riorganizzarsi, si tuffavano in un 5 contro 3 che è la strategia migliore per scomporre la linea romanista non sempre concentrata sul da farsi quando la palla ce l’hanno gli altri. Fallito il colpo del “contragolpe” di stampo iberico e sudamericano, l’Inter trovava proprio con uno dei suoi giocatori del nuovo mondo, il gol.
Era Maurito Icardi a colpire, sul susseguente angolo, di testa. Un gol che portava l’Inter in vantaggio per 2-1, che confermava la forza acrobatica del centravanti e della squadra, che apriva alla vittoria. Invece Brozovic in una delle sue amnesie di slava tradizione procurava, a quindici dalla fine, il rigore del pareggio. La tattica del controllo del centrocampo, del contropiede lungo, del gioco aereo ripiegava su se stessa e confermava come ancora lungo è il cammino verso la solidità di squadra.
Spalletti come detto veniva espulso avvolto dalla nevrosi del pareggio e riemergevano le contraddizioni di una squadra ancora immatura nelle partite spartiacque. Manca ancora un passo all’Inter per essere da vertice, una squadra vincente non si fa recuperare a una manciata di minuti dalla fine. C’è da lavorare sulla concentrazione figlia della mentalità vincente. Tu chiamale se vuoi contraddizioni, contraddizioni interiste, ma Mogol per Battisti aveva scritto emozioni.