Giandomenico Tiseo
Sfottò. Parola, espressione, gesto con cui si “prende in giro” qualcuno. Questo il significato letterale di uno dei termini che riecheggia spesso nella dialettica calcistica di tutti i giorni. Le prese in giro reciproche tra tifosi sono un po’ il sale del viver il “Pallone” nel modo più sano e divertente possibile. Le battute e le frecciatine tra supporters rendono particolari le vigilie degli incontri e conferisce al calcio anche il ruolo di “distrattore” dalle tensioni di tutti i giorni.
Bene, questa rappresentazione è aderente alle visioni di Thomas More e di Tommaso Campanella e non è necessario aver studiato o letto i componimenti di questi due autori per rendersene conto. Di fatto ciò che spesso dovrebbe suscitare un sorriso si trasforma in inciviltà. Le rivalità e il campanilismo, vissuto all’estremo, portano a queste pericolose controindicazioni in cui la sfera che rotola sul rettangolo verde è la valvola di sfogo per chi concepisce il tutto secondo i comandamenti del fondamentalismo.
I cori beceri, le scritte sui muri e le strutture devastate con personale di servizio malmenato sono episodi poco edificanti ma quasi all’ordine del giorno, trovando terreno fertile nello “scusodromo dello sfottò”. E’ aberrante tutto questo e non si vuole vestire i panni del moralizzatore . Ma da cosa nasce il fenomeno e cosa fare per prevenirlo?
Con atteggiamento “Marzulliano” ci poniamo una domanda e ci diamo alcune risposte. L’origine è nella mancanza di cultura sportiva che andrebbe insegnata entro gli apparati formativi preposti oltre che in famiglia. Sfortunatamente accade l’esatto contrario. Per mancanza di mentalità e di impianti adeguati il fare sport è una specie di ricreazione allungata e nei contesti scolastici l’importanza della valutazione sovrasta ogni cosa. Ecco che una certa filosofia fatica ad attecchire, non dando il giusto significato a cosa possa essere la vittoria e la sconfitta. Secondo questi canoni chi vince è legittimato a vedersi spalancate le porte del paradiso e a giudicare i perdenti come dei falliti.
Una visione da bianco e nero, non parlando nello specifico della Juventus per l’assonanza cromatica. Si parte da questo concetto che poi si espande diradandosi a macchia d’olio anche all’ambiente calcistico. Risultati positivi e negativi sono la fonte dell’umore e i principali attori in campo possono vestire i panni degli eroi o essere oggetto di frasi di scherno di bassa lega a seconda dello score. Tutto questo accettato come immutabile, tutto questo perché “fa parte del gioco”.
Una giustificazione ricorrente quest’ultima, volta a minimizzare certe problematiche e a non voler affrontare le criticità in profondità. La logica porterebbe a chiedersi:
1) E’ accettabile che vi siano individui pagati per tifare, che si sentono legittimati ad agire in modo poco consono (usando un eufemismo)? 2) Si può garantire alle società calcistiche un modo per spezzar il legame con certi gruppi di supporters e non pagarne le conseguenze? 3)E’ giustificabile che l’informazione svilisca il proprio ruolo fungendo essenzialmente da cassa di risonanza del dispotismo della maggioranza?
Domande retoriche a cui però non si vuol rispondere concretamente. La concezione di una realtà statica favorisce la proliferazione di una violenza dilagante a livello verbale e non, aggravata anche dall’uso dei social e dai cosiddetti “Leoni da tastiera”: soggetti che, nascosti dietro lo schermo e un nickname, danno libero sfogo ai propri istinti sapendo che difficilmente potranno pagarne il prezzo.
E così che anche “L’isola felice” del calcio femminile è stata contaminata: gli insulti ai danni della calciatrice della Juventus Cristiana Girelli, nel corso del match contro la Fiorentina al “Gino Bozzi” di Firenze, sono stati etichettati come “questioni di rivalità”. Peccato che gli “apprezzamenti” al lato B della giocatrice poco centrassero, per di più in una giornata particolare come quella contro la violenza delle donne.
Forse, bisognerebbe fare un passo indietro perché lo sfottò è un’arte che suscita ilarità e non può essere confusa per fonte di inciviltà.