di Luigi Pellicone
Anni’80 -’90. Sudamerica. Precisamente, Colombia. Da queste parti accade qualcosa di speciale, incredibile, irripetibile: la qualità della vita aumenta a dismisura, proliferano nuovi ricchi, il campionato locale è popolato da campioni autoctoni e stranieri e si fa conoscere aldilà dei confini. Emergono realtà sin allora sconosciute come l’America di Calì, di Valderrama è capace di raggiungere, per tre anni consecutivi, la finale di Copa Libertadores. La prima squadra colombiana, però, a mettere le mani sul trofeo è il Nacional di Medellin. É il 1989.
Il Nacional non è una squadra qualunque. É la colonna portante della selezione dei “cafeteros”, allenata fa Francisco Maturana. Fra gli undici, campioni assoluti come il carismatico, quanto discusso ed eccentrico, portiere Rene Higuita e il difensore Andrès Escobar, uno dei miglioli centrali difensivi della storia del calcio sudamericano. C’è anche Tonino Asprilla, un futuro in Italia, al Parma. Un calciatore che ama inseguire pallone e donne e giocare anche con le pistole.
Accanto ad Andrès Escobar, però, c’è un altro Escobar: molto più cattivo. Molto più pericoloso. É Pablo Escobar Gaviria. É il presidente dell’Atletico Nacional di Medellin. Ed è anche, e sopratutto, il re della Colombia. Reggente indiscusso del “cartello” di Medellin, l’organizzazione a delinquere che gestisce produzione e smercio della cocaina negli USA e in Europa.
Escobar è l’uomo che detiene, da solo, quasi l’intero commercio (il 20% resta ai “commercianti” di Cali) di produzione e smistamento della cocaina. Sono gli anni del boom della polvere bianca. Si inizia dal Perù. Ci si allarga in tutto il Sudamerica. Poi le “narcorotte” verso Miami, New York, la Spagna e l’Europa.
I “banditos” guadagnano qualcosa come sei milioni di euro a settimana. Troppi soldi. Impossibile persino spenderli. Serve nasconderli. E riciclarli.
Nel 1987, secondo Forbes, Escobar è il settimo uomo più ricco del mondo. Guadagna montagne di soldi con il suo impero della droga e del terrore, ma è amatissimo dalla povera gente di Medellin per il suo “impegno sociale” a favore degli abitanti dei quartieri dai quali proviene. E li costruisce scuole, campi di calcio e addirittura nuovi barrios per dare un tetto a coloro che vivevano per strada e che vagavano tra i rifiuti della città colombiana. Gente povera, disperata. E a nessuno di loro importa che quei soldi Escobar fossero prodotti da omicidi spietati.
Il governo, però, è stanco di Escobar: si accorda per l’estradizione del narcotrafficante verso gli Stati Uniti. Per tutta risposta ministri, candidati presidenti, poliziotti, persone comuni, saltano in aria o sono eliminati da killer armati sino ai denti. Escobar, forte di migliaia e migliaia di fedeli “soldati”, ha occhi e orecchie dappertutto: evita la cattura, e inizia una guerra del terrore che porta la Colombia a fregiarsi del titolo di paese più violento al mondo. Dopo un compromesso con il governo, Escobar si consegna alle forze dell’ordine per farsi imprigionare in un carcere di lusso fatto costruire apposta da lui stesso, la Catedral, dove era tutto fuorché prigioniero….