di Antonio Capotosto
Lo scontro Totti- Spalletti ricorda (anche) altri attriti: Baggio e Marcello Lippi, quando Roby ritrovò il tecnico viareggino all’Inter. Del Piero e la Juventus, sebbene in misura minore, vissero l’ultimo anno da separati in casa e però vincenti. La storia che accomuna le polemiche fra i più grandi calciatori numero 10 del dopoguerra e le squadre di calcio, ha come “principio” Gianni Rivera.
Anno 1975, tensione tra il Golden Boy, la società Milan e il tecnico Gustavo Giagnoni. Le incomprensioni nascono quando il presidente Albino ipotizza uno scambio fra Rivera e Claudio Sala, complice un interessamento rossonero sull’astro nascente Giancarlo Antognoni. La bandiera rimane spiazzato da quella dichiarazione, salta qualche seduta di allenamento e l’ex allenatore granata –famoso per aver sferrato un pugno a Franco Causio in un derby- lo mette fuori squadra.
Rivera annuncia il ritiro a maggio, ma qualche mese più tardi si presenta a Milanello da… presidente del Milan!
Per la serie: non posso giocare in squadra? Allora me la compro. Il Golden Boy acquista il pacchetto di maggioranza del club dall’ex amico Buticchi e affida la presidenza a Bruno Pardi. Un escamotage. Successivamente il Golden Boy cede le quote a Vittorio Duina. Rivera resta un calciatore, e continua a giocare sino al 1979, anno dello scudetto della stella. Contenti tutti. O quasi.
Rivera lascia dopo il tricolore della stella e Claudio Sala, dal canto suo, rimasto a Torino contribuisce a riportare lo scudetto granata sulle vette più alte d’Italia ventisette anni dopo la tragedia di Superga. Buticchi invece morì cieco, vent’anni dopo un (primo) tentativo di suicidio.