di Massimo Fabi
Seconda semifinale amara consecutiva per Jürgen Klinsmann dopo quella di Atlanta persa contro Giamaica nella Gold Cup 2015. Lui che, esattamente dieci anni fa, nella semifinale del Mondiale tedesco crollava con la sua Germania sotto i colpi italiani di Grosso e Del Piero. A differenza dei tifosi di Dortmund nel combattuto e doloroso incontro del 4 luglio 2006, il pubblico statunitense di Houston non ha dovuto subire tuttavia shock improvvisi e struggenti: la serata texana ha infatti visto una gara senza storia risolta in poco tempo da un’Argentina ‘onnipotente’, inducendo il tecnico di Göppingen a rivivere il color ‘azzurro’ come una sorta di incubo. Tra i padroni di casa regge poco l’alibi dei tre titolari assenti per squalifica: la differenza nei valori tecnici era già netta in partenza, ma gli uomini di Klinsmann hanno profondamente deluso sotto il profilo caratteriale. L’Albiceleste trionfa 4 a 0 al NRG Stadium senza che ci sia stata una vera battaglia: l’orgoglio statunitense si è esaurito ai quarti e lo sguardo di un Klinsmann inerme e senza parole risulta praticamente perso nel vuoto. Comprensibile del resto, avendo detto in conferenza stampa che ‘l’Argentina fosse battibile e che Messi si potesse fermare’. Una doppia figuraccia. Il ‘complesso di inferiorità’ ha invece invaso troppo presto gli Stati Uniti, consegnandosi fin dal terzo minuto a una corazzata non solo bella ma anche ‘affamata’ di vittoria. La formazione di Tata Martino si è confermata ai livelli eccezionali delle precedenti partite, facilitata anche da una competizione che a differenza degli Europei di Francia si sta distinguendo a tratti per imbarazzanti prestazioni difensive: pane per i denti di Higuain che una volta sbloccatosi contro il Venezuela ha ripreso stabilmente l’hobby della ‘doppietta’. Bene anche il reparto arretrato, annullando totalmente Dempsey e facendo passare a Romero novanta minuti da spettatore aggiunto. Nella Selección gira ‘quasi’ tutto a meraviglia e lo si vede da quanto sia stata incisiva una riserva come Lavezzi nelle due gare da titolare concesse da Martino: gol e assist contro la Bolivia, gol e assist a spese degli USA con i quali le assenze di Di Maria e Gaitan non sono state percepite. Prezioso e sfortunato il Pocho, perché quel ‘quasi’ è dovuto proprio alla sfortuna. Se nessuno è stato in grado di creare seri pericoli all’Albiceleste, le insidie fin qui emerse sono state tutte interne per via degli infortuni: ai problemi primordiali ormai risolti di Messi, Biglia e Di Maria si sono aggiunti gli incidenti ravvicinati di Augusto Fernandez out per lesione, Lavezzi vittima di una rottura drammatica del gomito e Rojo bloccato da un affaticamento e unico recuperabile per domenica.
Un ultimo appunto non può che essere dedicato a Messi, colui che ha appena superato Batistuta come miglior marcatore di sempre in nazionale ma che al tempo stesso favorisce a suon di palloni geniali la prolificità realizzativa della squadra. Sorretta da una forma straordinaria, la Pulce ha paralizzato da solo Bradley e compagni: bravo anche il tecnico nell’impiegarlo nel ruolo di vero 10, ossia trequartista e non esterno di un tridente. Con Messi a tutto campo, l’Argentina dà la sensazione di esser ancor più devastante. Ora però servirà concretizzare il tutto, ossia raggiungere quella obbligata vittoria che consegnerebbe alla Selección una Copa che manca dal 1993. E’ la prova del nove per la selezione di Martino, chiamato a ridisegnare la squadra ma forte della disponibilità di Biglia e Di Maria, ed è la ‘prova del Diez’ per Messi, forse mai stato così leader in maglia albiceleste. East Rutherford, comune dell’area di New York, è lì ad attendere, pronta a dare il verdetto finale.