Giovanni Rosati
Ho aspettato il Milan per due mesi: ora voglio vincere. Così si presentava in tarda estate a Milanello il neo-acquisto Nikola Kalinic. La sua era stata una trattativa estenuante, la più lunga tra quelle attuate nella pre-season 2017-18 dal duo Fassone-Mirabelli, che lo avevano acquistato per una somma totale di 25 milioni di euro tra prestito e obbligo di riscatto.
Un sogno realizzato, così era stato presentato, e a ragion veduta. “Nikola ha voluto fortemente diventare rossonero”, aveva detto l’amministratore delegato del Milan. Di fatti, cinque giorni prima che il trasferimento si concretizzasse ufficialmente, Kalinic aveva presentato alla Fiorentina, squadra proprietaria delle sue prestazioni calcistiche, un certificato medico che lo esentava dal presentarsi alle sessioni d’allenamento del club viola per cinque giorni consecutivi. La motivazione riportata del documento era lo stato di inquietudine emotiva vissuto dal croato in quei giorni. Lo stress da mercato, insomma, lo stress da futuro rossonero.
Perché Kalinic ci teneva veramente a vestire quei colori: “Ha un amore sconfinato e storico per la nostra maglia”, aveva detto ancora Fassone durante la presentazione del ragazzo in diretta social. Un amore che era nato molti anni prima, nella sua casa nei pressi di Spalato. “Tifo per il Milan fin da quando ero piccola, come mio marito e mio figlio più grande. Così, anche Nikola è diventato tifoso”, diceva sua madre ai microfoni di Sky dopo aver mostrato uno zainetto del Milan che da bambino lo accompagnava costantemente a scuola, in gita e agli allenamenti.
Su una parete della sua cameretta Kalinic, come tanti ragazzi a quell’età, aveva appeso il poster del suo idolo calcistico incontrastato: Andrij Shevchenko, rigorosamente in maglia a bande verticali rosse e nere. Nessun dubbio sul numero da portare sulle spalle, perché una volta realizzato il sogno di giocare per il suo Milan, il croato non poteva che vestire la 7 dell’usignolo di Kiev come ciliegina sulla torta.
Nel precedente gennaio Kalinic aveva anche rifiutato il trasferimento al Tianjin Quanjian di Fabio Cannavaro, che gli sarebbe valso la bellezza di 12 milioni netti all’anno. Il croato era però arrivato fin lì nel suo percorso per passione, non per soldi, e voleva rimanere nel calcio che conta con un obiettivo ben preciso: giocare per il suo club del cuore. Il trasferimento di fine Agosto non poteva che esser il perfetto compimento di questa storia di calcio romantico.
E invece no. Ad oggi, i troppi errori sotto porta e le sole quattro reti in trenta gare ufficiali disputate sulle tre competizioni hanno eretto un muro tra sé e il tifo milanista. Per lui addirittura un solo centro in Serie A in 502’ giocati, contro la media di un gol ogni 147’ di Cutrone e quella di uno ogni 127’ di André Silva (che però gioca spesso da subentrante, con minore minutaggio). E una nuova ciliegina sulla torta, meno idilliaca e più dolorosamente concreta: la non convocazione dello scorso weekend contro il Chievo.
“Io chiedo professionalità, senso d’appartenenza e voglia, mentre lui s’ è allenato con il freno a mano tirato”, ha detto Gattuso a riguardo. Pare che l’attaccante abbia deciso di risparmiare energie quando il tecnico ha dato a Cutrone la pettorina del titolare. La prospettiva di scaldare la panchina anche contro il Chievo ha demotivato il croato a un punto tale che alla fine si è deciso di non portarlo neanche con la squadra. Cosa ne è stato di tutto quell’amore per il Milan? Dov’è finita la nostra romantica storia di pallone?
Chissà. Certamente non hanno aiutato questa storia di passione i suoi due compagni di reparto, Cutrone e André Silva, che sono andati entrambi a segno contro i gialloblù girando il coltello nella piaga del croato. E in questo momento, la “favola” di Kalinic è al suo punto più basso. Si parla di sirene tedesche, di Werder Brema, Schalke 04 o Eintracht Francoforte, di un ritorno di fiamma col Tianjin, ora in mano all’ex viola Paulo Sousa, o di uno scambio clamoroso con il Torino per arrivare a un altro calciatore nato col cuore rossonero come Andrea Belotti. C’è chi insinua addirittura possa lasciare il posto al rientro dal prestito dal Villarreal di Bacca, spedito a sua volta in Spagna in estate grazie a una vigorosa spinta della tifoseria del Diavolo, altamente delusa dal suo rendimento.
Forse fino ad oggi il croato non ha saputo dimostrare di valere tutti i soldi spesi per lui. Forse non è stato capace di reggere la pressione che si è trovato ad affrontare una volta raggiunto il suo più grande sogno di ragazzo. Eppure sarebbe un peccato scrivere di già la parola “fine” a questa storia: in fondo, quel sogno s’era appena realizzato.