Di Matteo Quaglini
La prima vittoria non si scorda mai. E’ un mantra chiaro nella mente di ciascuno di noi, la prima volta è per sempre. In tutti gli ambiti della vita. Nello sport l’assunto diventa matematica perché la vittoria è il Santo Graal dei sacrifici da allenamento, lo Zenith dei sogni raggiunti, il Nirvana dell’estasi inebriante del successo.
Helenio Herrera uno che di vittorie, tra Spagna e Italia, se ne intendeva a una domanda di un giornalista che gli chiedeva di salvarne solo tre tra le tante della grande Inter, rispose che per lui era facile, sceglieva le prime. Il primo scudetto vinto nel 1963 – “dopo che per anni avevamo dominato il campionato” – la prima coppa dei campioni vinta al Prater di Vienna l’anno dopo contro il Real degli Hidalgos Di Stefano e Puskas, la prima coppa intercontinentale alzata nel catino argentino di Avellaneda.
E’ vero dunque, la prima vittoria è quella di tutta una vita. Superiore a tutte quelle che, se la dea fortuna assiste, verranno di lì in avanti. Le prime vittorie della Juventus e della Panini Modena sono state per questi sodalizi indelebili perché hanno rappresentato l’inizio del cammino.
Il primo scudetto della Juventus è datato 1905, il primo di Modena sotto l’egida dei fratelli patron delle figurine nella pallavolo è del 1970 l’anno dei mondiali messicani e di Pelé tre volte campione del mondo, lo stesso anno in cui la Juventus dopo alcune stagioni grigie attuò con Boniperti al timone la politica della carriera aperta al talento acquistando i migliori giovani del momento: Capello, Landini e Spinosi.
Due vittorie separate e però anche parallele, perché furono il segno che si poteva fare, che si poteva recitare da primi attori nel teatro del calcio pionieristico e della pallavolo di antico stampo. Come avrebbe detto Macbeth “Rivivetelo” o meglio riviviamole queste vittorie della prima genesi.
Cominciando dalla Juventus dei primi del novecento. Nel 1905 il calcio in Italia si sta costruendo, sta trovando le sue prime squadre rivali del Genoa, i primi regionalismi che saranno decisivi poi per costruire il campionato come oggi lo conosciamo, i primi giocatori. E’ ancora un football grezzo, artigianale, sperimentale, l’organizzazione che già gli inglesi hanno da più di trent’anni è di la da venire. Ma il movimento ha iniziato il viaggio, che sarà centenario.
In questo contesto parte il campionato, l’8° della Fif (Federazione Italiana del Football), 6 squadre vi parteciparono, 4 giorni fu la durata, 12 le partite e 45 i gol finali, tutti numeri che fanno capire come il calcio fosse ancora un lazo da appassionati che però si stava dando una forma e un avvenire.
Tre le regioni in campo: il Piemonte, la Liguria e la Lombardia. Le squadre partecipanti furono l’FC Torinese, l’Andrea Doria, il Genoa – padre importatore del gioco – il Milan, l’UC Milanese e appunto la Juventus.
Si gioca con una formula a incastri: eliminatorie regionali con partite di andata e ritorno, una fase nazionale e poi il triangolare tra i campioni regionali decisivo per l’assegnazione della famosa Coppa Spensley. All’atto finale, duello rusticano calcistico a tre, arrivano la Juventus outsider e sarà per poco ancora, il Genoa e a sorpresa UC Milanese che sarà la mano del destino sullo scudetto. O meglio la mano del pareggio.
La Juventus aveva vinto due volte 2-0 con l’FC Torinese, poi aveva battuto 4-1 e 2-0 Uc Milanese e pareggiato due volte con Il Genoa. Il 9 aprile i super favoriti liguri giocano in casa con l’UC Milanese, la vittoria è certa. Come lo scudetto numero 7. E invece i milanesi inchiodano i campioni in carica sul pari e assegnano lo scudetto alla Juventus. E’ il primo vinto all’ultimo tuffo come spesso accadrà nella storia suggestiva della nostra serie A.
La Panini invece ci mise quattro anni per vincere il suo primo titolo. Era l’anno 1970 e oltre a Pelé un altro grande cannibale dello sport Eddie Merckx vinceva il giro d’Italia. Campionato a girone unico. Gli avversari sono grandi e agguerriti. Si chiamano Ruini Firenze e Buror Parma. Sono l’Inter e il Milan della pallavolo in quel periodo, come le squadre di Herrera e Rocco dominano.
La Panini però ha una diversità: è’ il fuoriclasse cecoslovacco Josef Musil. Viene da Kostelnì Lhota è del luglio del ’32, è il campione dei campioni pallavolistici tra gli anni ’50 e ’60. Ha vinto per sette volte il titolo in patria, giocato 300 partite in una nazionale, quella cecoslovacca, che ha insegnato e contribuito a strutturare il gioco come nel calcio farà, nel 1974, l’Olanda dei libertini della casa d’Orange. Campione del mondo nel 1956 a Parigi e nel 1966 in madre patria. Campione d’Europa nel 1955 a Bucarest e nel 1958 a Praga.
C’è abbastanza per intuire, fin da subito, che è arrivato un uomo che conosce il cammino per la vittoria. Così guidati dal loro fuoriclasse freddo, gli uomini di Anderlini vincono ventuno partite ottenendo 42 punti, due in più della Ruini e sei in più di Parma.
Non perde praticamente mai quella squadra che inaugura, forse senza saperlo, la sua egemonia sulla pallavolo italiana. I campioni sono a Modena.
Josef Musil ha fatto il suo dovere, ha guidato la squadra dove non era mai arrivata. Raccogliendo la base vincente della scalata dalla serie C alla serie A, le ha dato peso internazionale, carisma, vedute superiori del gioco. Ha migliorato gli altri. Ha portato il suo modo di giocare preciso oltre la rete. E ha dato alla Panini il primo scudetto.
Un pareggio simbolo della buona sorte, che mai bacia la fronte a caso, e un percorso netto senza indecisioni, due strade diverse per festeggiare lo stesso trionfo. Apripista indimenticabile degli anni dei trionfi che verranno.
Nella memorabilia dei successi contano soprattutto gli uomini, che vestendo i panni dei giocatori emulano le gesta dei cavalieri di ventura di tempi antichi. I primi uomini campioni a Modena furono: Anderlini jr, Barone, Buttega, Giovenzana, Montorsi, Morandi, Nannini, Sibani, Guidotti e Marchesini. Allenati dal mitico Prof.Anderlini molti di loro costituiranno l’ossatura della nazionale anni ’70 pilastro poi del Gabbiamo d’argento del 1978, proprio come faranno quelli della Juventus, perché la vittoria apre al maresciallato oltre che alla gloria.
Quelli della Juventus invece hanno nomi che resteranno per sempre dentro la cartolina ingiallita, ma gloriosa, del successo: Durante, Hess, Mastrella, Mazzia, Armano I, Colombo, Dimet, Frey, Goccione, Nay, Nino, Walty, Armano II, Barberis, Borel, Corbelli, Donna, Forlano, Mazzonis, Merio, Squair e Varetti.
Uomini da primi del novecento da raccontare come i romani antichi dell’impero precursori cioè delle vittorie che faranno la storia di un club e che per la Juventus e la Panini Modena resteranno per sempre.