Di Matteo Quaglini
E’ stata per il Tottenham la semifinale dell’attimo fuggente. Un finale alla prof Keating, il grande personaggio interpretato dal mitico Robin Williams che insegna a cogliere l’attimo nella vita. La più difficile delle cose, ma anche la più affascinante ed emozionante se riesce.
Lucas Moura, c’è riuscito. Lanciandosi in area e in gol al 96°minuto, in un secondo tempo che ha scritto la storia contemporanea del Tottenham in questa coppa e che ha prodotto un risultato storico per la Londra che pensa a modo degli “spurs”: la prima finale di Champions League della loro storia, è arrivata.
E’ stata la partita manifesto del calcio europeo contemporaneo, intrisa cioè di tutti i tratti che caratterizzano il football di marca internazionale. Una gara caratterizzata dal ritmo, dalla transizione veloce da area ad area, dalla presenza di tanti giocatori delle due squadre in zona palla, dal gioco aperto in cui la tattica è ha supporto della strategia generale.
Per analizzare questa “battle” da calcio atletico, strategico e ritmico, come gli inglesi chiamano le partite che stanno al confine tra la vittoria e la sconfitta, ci vogliono quattro atti come fosse teatro shakespiriano. Un teatro che ha riportato oggi il Tottenham in una finale continentale dopo l’ultima volta nel 1984, ai tempi di Osvaldo Ardiles e Gleen Hoddle. Eccoli dunque i quattro atti.
L’andata: Un passo indietro occorre farlo perché è vero che la gara è finita 3-3 nel computo complessivo, ma gli attimi sono stati decisivi. L’Ajax esce corsaro da Londra vincendo 1-0 come aveva fatto prima a Madrid contro il Real detronizzato dopo le Champions a ripetizione e poi a Torino quando sotto i colpi tecnici di questi giovani indipendentisti olandesi dal gioco veloce, cadde anche sua maestà Ronaldo. Anche il Tottenham, nobile di primo pelo di questi ultimi anni di Premier, cada in casa. Senza Kane significa rimanere senza gol, equazione semplice e quasi ultimativa sembra.
Il gioco di Pochettino arrancò, tornarono i vecchi spettri dell’incertezza nei momenti decisivi. E Eriksen e Son non incisero come nelle partite precedenti. Per una volta, dopo gli iniziali esordi, l’allenatore argentino sembrò di nuovo solo glamour più che un ammiraglio alla Hontario Nelson come le sue scelte avevano invece fatto pensare. Poche erano le speranze.
La tattica: Qualcosa in casa Tottenham andava, in vista del ritorno, cambiato. Pochettino ha scelto in maniera netta e più che al modulo ha dato importanza ai vari posizionamenti dei giocatori in fase di possesso e attacco. I due laterali di difesa Trippier e Rose molto alti, molto profondi e molto aperti per stanare l’Ajax nel cuore della difesa inserendo centralmente, una volta che i due centrali olandesi aprivano le maglie, i suoi giocatori offensivi dal passo lungo e capaci di arrivare in zona gol da lontano.
E proprio il posizionamento del castello offensivo è stato decisivo per la vittoria finale. Tutti stretti, tutti vicini assumendo la posizione centrale per creare affollamento ai difensori centrali dell’Ajax e mandarli in affanno nei contrasti, dove sono più deboli. Eriksen sulla trequarti, vertice basso del castello, Allì laterale avanzato a sinistra, Son secondo centravanti e Lucas Moura prima punta. Pochettino ha così costruito la rimonta concentrando tutte le forze su un settore, come insegnava Napoleone, un assedio al castello difensivo dell’Ajax in stile Eugene Irwin nell’omonimo film con Robert Redford.
Fine primo tempo: Più che Redford, alla fine dei primi ’45 minuti Pochettino sembrava uno di quegli attori che vuole il proscenio e invece riceve solo fischi. E i suoi? Erano sotto di 2-0, anzi 3-0 nel computo generale. Una capocciata di De Ligt solo in area e bravissimo a saltare in terzo tempo a modo di Jordan, un gol di Ziyech al ’35 unite all’imprecisione in alcune occasione del Tottenham, avevano atterrato le speranze inglesi e fatto presagire la fine del cammino europeo.
Lo spogliato però è un luogo sacro e mistico e Pochettino lì ha ritrovato se stesso e i suoi, decidendo di seguire chiaramente una via.
Verdetti finali, la via del gol: la strada non poteva essere che quella del gol, contando su due aspetti che la partita stava dando. La libertà nel gioco dell’Ajax che se pericolosissima in chiave offensiva, si rivelava essere anche un possibile vantaggio vista la poca forza nei contrasti in area degli olandesi. E, come secondo paradigma, gli ingressi di Lamela e Llorente nel corso della gara. Tutti avanti a riempire l’area. Così in quattro minuti, tra il ’55 e il ’59, Lucas Moura ha sfoggiato tutto il suo Brasil interiore e ha rimesso in corsa il Tottenham. I suoi due inserimenti centrali hanno confermato la strategia iniziale: attaccare il cuore dell’area olandese era un’idea giusta.
Poi, l’imponderabile e al tempo stesso il bello (non effimero) del calcio: il gol all’ultimo secondo. Una mischia col portiere e i difensori “Orange” incapaci di respingere e di colpo il calcio che finisce nell’angolo è quello inglese. Finale per il Tottenham. Disperazione per i ragazzi che hanno fatto sognare l’Europa. Pochettino che ridiventa Eugene Irwin o Robert Redford fate voi. I giocatori che escono dalla prigionia del sogno e volano a Madrid. I giornali di sua maestà che titolano Glory, Glory, Glory tre volte. Quattro inglesi in finale, due coppe di nuovo dal sapore British. Il tè delle cinque è servito, Oh yes.