di Andrea Tocchio
E’ strano come ci siano numeri che ricorrano e, a volte, ci rincorrano nella nostra vita. Destino, coincidenze, dategli il nome che volete. Se, però, una cifra ti identifica e ti accompagna nei giorni e nei traguardi più importanti della tua carriera, forse cominci a credere che tutto segua una incredibile, irrazionale, invisibile trama.
Il legame con il 22 Diego Alberto Milito lo stringe al suo arrivo a Saragozza. Reduce da un’annata strepitosa in quel di Genova, sponda rossoblù, condita ( guarda il caso) da 22 centri tra Serie B e Coppa Italia, Diego è costretto a raggiungere il fratello Gabriel nel capoluogo d’Aragona. Il Genoa, infatti, nonostante la promozione in A acquisita sul campo, è appena stato retrocesso in C1 per illecito sportivo, causa tentativo di corruzione ai danni del Venezia all’ultima giornata. Tornando alla scelta del numero, semplice quanto disarmante la spiegazione: nessun retroscena emblematico, nessun mito, nessuna leggenda; sono rimasti disponibili solo il 2 e il 22. Naturalmente il secondo gli piace di più.
D’altronde cosa ci si poteva aspettare da un calciatore “normale”? Sì, perché questo è l’ aggettivo che viene spesso utilizzato per descriverlo nei primi anni da professionista: la sua velocità è normale, tecnicamente è normale, fisicamente è normale. El Principe (soprannome dovuto alla sua somiglianza ad Enzo Francescoli, grande centravanti uruguagio degli anni Ottanta e Novanta) è però dotato di un’intelligenza calcistica fuori dal comune: gioca con la squadra e per la squadra e in area è freddo e spietato come un killer. Sa perfettamente dov’è la porta e non ha nessuna difficoltà a centrarla. La sua media realizzativa è impressionante anche in Spagna: 61 marcature in 125 incontri e una finale di Copa del Rey (persa poi con l’Espanyol, ndr) conquistata grazie ad una sua quaterna in semifinale ad un altro Real, quello di Madrid. La squadra a Saragozza è ultra competitiva (tra i tanti che la compongono Ayala, Aimar, Gabi e Matuzalem), ma lo spogliatoio è muy caliente e poco disciplinato e, così, al termine della sua esperienza triennale in terra ispanica, giunge un’altra retrocessione.
Estate del 2008 a dir poco movimentata: il Tottenham lo corteggia invano per tutta la finestra di mercato; la Juve lo tiene in pugno per un periodo, ma l’acquisto di Amauri frena il suo approdo in bianconero. Ecco, dunque, una nuova sliding door: a Genova nessuno lo ha dimenticato, tantomeno Enrico Preziosi, che, con una trattativa lampo negli ultimi secondi di calciomercato, si assicura le sue prestazioni per la stagione successiva. Anche a Genova il 22 è libero, lasciato in eredità da Borriello, magnifico con quella casacca nell’annata precedente. Diego non ha paura dei confronti: ormai lui e il 22 sono una cosa sola.
Le idee di Gasperini, la regia di Thiago Motta, i gol del Principe: così possiamo riassumere il 2008/2009 del Grifone, che manca la Champions solo per gli scontri diretti a sfavore con la Fiorentina. A proposito di coppe europee, in quegli anni è l’Inter a dominare in Italia, ma l’Europa è il vero obiettivo. Moratti ha preso pure Mourinho, il Mago di Setubal, per coronare il sogno. La volpe portoghese, dopo aver fallito il primo assalto, capisce che alla sua compagine mancano due cose: la giusta regia e l’uomo del destino. Così, nell’estate del 2009, ottiene entrambe: Motta e Milito.
Mourinho assembla una macchina pressoché perfetta, della quale Diego è il terminale, nonché uno dei trascinatori indiscussi. Ah, e segna a raffica, in Campionato, in Coppa e in Champions. Sì, la coppa dalle grandi orecchie, sogno ed incubo del popolo nerazzurro. Dopo una cavalcata pazzesca ed un’epica battaglia col Barcellona sui 180 minuti, ecco la finale. Dove? A Madrid. Quando? Il 22 Maggio 2010. Sì, proprio il 22. Non poteva che essere in quel giorno. Doppietta di Milito, El Principe del Bernal, quello “normale”, eletto miglior attaccante e giocatore di quella competizione nell’anno di grazia 2010.
Dopo essersi congedato dal mondo interista, nel Giugno del 2014 fa ritorno a casa, dove tutto è cominciato: ultima tappa, Racing de Avellaneda. Per conquistare, anzi restituire agli aficionados de La Academia quel titolo che manca da troppo tempo. Rimonta assurda sul River nelle ultime giornate e l’impresa, l’ultima, è servita. Grazie anche e soprattutto alle reti del 22, che la “sua” gente saluta ed onora al Cilindro due anni più tardi, il 21 Maggio del 2016, nel match d’addio contro il Temperley. Perché i numeri ricorrono e ci rincorrono, ricordate? E, quindi, quando poteva avere inizio il nuovo capitolo della storia del Principe, se non un altro 22 Maggio?