di Giandomenico Tiseo
La stagione calcistica sta per chiudere i battenti per quanto concerne i club ed è tempo di finali in Europa
League e in Champions League. Ancora una volta il calcio italiano si trova a fare da spettatore alle due grandi
competizioni. Un evergreen che non può far piacere a chi ha a cuore le sorti del nostro movimento. Di fatto,
se guardiamo alle edizioni dal 2000 in avanti, le compagini del Bel Paese hanno potuto fregiarsi del massimo
titolo europeo in sole tre circostanze, mentre per l’ex Coppa Uefa bisogna andare indietro al 1999 e al
Parma di Alberto Malesani per poter parlare di vittoria e di finale.
No, non ci siamo perché i tre successi contro i dieci della Spagna in Champions sono difficili da mandar giù.
Domanda: qual è la causa? Quesito da un milione di dollari, verrebbe da dire. L’idea è quella di analizzare
una visione bipolare del calcio nostrano nella quale ci si dibatte da qualche tempo. Il confronto è tra il
partito dei risultisti e quello dei giochisti. Secondo i primi, sono i giocatori a fare la differenza e le vittorie in
Europa sono frutto di tanti fattori, tra cui vanno contemplati condizione fisica, convinzione nei propri mezzi
e un pizzico di fortuna. Il risultato conta su tutto, non importa in che modo. Nell’altro caso, i fautori del
calcio totale ritengono che il singolo si esalti in un contesto di squadra organizzato. La filosofia dei “solisti”
contro quella del collettivo, Giovanni Trapattoni contro Arrigo Sacchi, Fabio Capello contro Zdenek Zeman,
Massimiliano Allegri contro Maurizio Sarri. Sono un po’ questi gli esponenti del partito. Ma cosa c’entra con
la crisi del calcio italiano in Europa?
Nei tornei del Vecchio Continente si gioca ad alta intensità e una chiara identità è fortemente richiesta.
Pertanto, gli adepti del giochismo possono avere conforto. Ma è chiaro che una base di questo genere va
arricchita con la genialità del calciatore, essendo lui il primattore sul rettangolo verde. L’impressione è che in
Italia si voglia per forza imporre una visione piuttosto che l’altra quando, evidentemente, per essere
protagonisti al di là dei confini entrambe le componenti sono necessarie. I giocatori non possono essere
cresciuti come dei polli d’allevamento dalle giovanili e vanno insegnati i fondamentali. Nello stesso tempo
un’idea propositiva di gioco non può essere ritenuta mera teoria.
Trovarsi spettatori in maniera ricorrente non è frutto solo del caso e delle contromisure andrebbero prese. Il
bipolarismo calcistico, probabilmente, dovrebbe lasciare spazio ad una comunione di intenti in cui anche la
crescita del vivaio ha rilevanza. Constatare che nelle competizioni giovanili per club si è delle comparse, con
rose infarcite il più delle volte da calciatori stranieri presi allo scopo di plusvalenze facili, suscita tristezza e
rabbia.
Queste sono le carte in tavola. La Juventus, esponente del pragmatismo spinto, potrebbe forse cambiare
registro, visto l’esonero di Allegri. Una presa di coscienza funzionale ad accrescere il proprio livello, dopo la
lezione ricevuta dall’Ajax.