Lazio, c’era una volta l’Europa

Posted By on Dic 13, 2019 | 0 comments


di Marco Bea

 

Difficile immaginarsi una conclusione diversa alla vigilia, ma ciò non toglie che sia comunque amara. L’impresa stavolta non si è verificata e la Lazio ha salutato così l’Europa League sin dai gironi, con uno score eloquente di 6 punti in altrettante partite e di 3 sconfitte su 3 fuori dalle mura amiche. Il 2-0 subito in casa del Rennes, qualsiasi altro risultato non sarebbe in ogni caso valso a nulla in virtù del successo in contemporanea del Cluj sul Celtic, ha rappresentato il degno epilogo di un percorso oltremodo stentato, che rimarrà una macchia all’interno di una stagione fino ad ora condotta con un piglio diametralmente opposto all’interno dei confini nazionali.

E pensare che, in questo decennio, in biancocelesti avevano sempre provato ad onorare al massimo questa competizione, superando sempre il muro, o per meglio dire la siepe, della fase a gironi e subendo, tra le polemiche con il Fenerbache ed in maniera sciagurata con il Salisburgo, due eliminazioni ai quarti di finale. Quest’anno invece Inzaghi non ha mai dato la sensazione di volersela giocare davvero, memore forse delle faticose esperienze precedenti. Da qui la scelta di ricorrere ad un turnover massiccio sin dall’esordio e di escludere a rotazione un paio di propri big dalla lista dei convocati, addirittura negli incontri casalinghi. Una politica che ha lanciato alla squadra, in maniera più o meno consapevole, il messaggio di non spendersi più di tanto in questa avventura, nella speranza di raggiungere, magari per mancanze degli avversari, il minimo sindacale dei sedicesimi. Questo atteggiamento lassista trova tuttavia poca giustificazione anche in un’ottica di gestione delle risorse. La stessa Lazio in passato ci aveva abituato a fare incetta di punti nelle prime uscite, per poi allentare la tensione soltanto a qualificazione acquisita o quasi, senza quindi compromettersi troppo nei mesi di novembre e dicembre, dove di norma iniziano ad affiorare le prime tossine della stagione. Pur essendo logorante per definizione, sia per il numero di incontri da disputare che per la collocazione al giovedì, l’Europa League mette inoltre sul piatto non solo visibilità e prestigio internazionale, specie dagli scontri diretti in poi, ma anche l’opportunità di testarsi su ritmi e contesti propedeutici allo stesso campionato.

In molti sosterranno che i biancocelesti, senza questo piano dai contorni suicidi sul fronte continentale, non sarebbero 3° in Serie A e che tante delle cosiddette riserve avrebbero molti minuti in meno nelle gambe. Sul secondo punto bisogna tuttavia considerare non solo quanto, ma anche il come le seconde linee vengono coinvolte negli equilibri di una squadra. Schierarle a blocco per 6/11, come avvenuto in media nell’arco dei 6 match, più che ad alzare il livello di fiducia generale del gruppo è servito soprattutto a rimarcare che la Lazio ha una formazione A ed una formazione B, con quest’ultima che risulta troppo più vulnerabile di quella titolare. Un inserimento più selettivo e funzionale di giocatori come Jony, Vavro, Cataldi, Berisha ed Adekanye avrebbe garantito con tutta probabilità sia il passaggio del turno, che un maggior senso di omogeneità e profondità della rosa, anche per inseguire meglio alla distanza l’obiettivo Champions. Per Inzaghi adesso vige l’obbligo di smentire chi sta scrivendo questo pezzo e di proseguire, se non portare a termine, la marcia in campionato con gli standard di gioco attuali. Soltanto così muterebbe la macchia europea in un sacrificio necessario, almeno per questa volta.

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