di Marco Bea
Il 16° trofeo della sua storia potrebbe essere quello della definitiva svolta della Lazio, di una presa di coscienza che mancava, forse, dai fasti dell’era Cragnotti. A Riad i biancocelesti non hanno infatti conquistato soltanto la Supercoppa Italiana, ma anche il diritto di banchettare al tavolo delle grandi del nostro campionato, a partire da una Juventus superata nuovamente senza appello. Il doppio 3-1 con il quale i capitolini hanno schiaffeggiato, nell’arco di due settimane, l’armata (quasi) invincibile del calcio italiano sancisce infatti un salto di qualità significativo, che deve adesso essere alimentato nella maniera più appropriata da parte della stessa dirigenza.
In campo la Lazio ha completato, se non addirittura migliorato, l’opera dell’Olimpico dello scorso 7 dicembre, tessendo le sorti dell’incontro in maniera oltremodo autorevole, senza mai vacillare davvero di fronte alle potenti bocche da fuoco dei rivali. Chi si aspettava una Juve affamata e decisa a riscattare lo scivolone in campionato ha dovuto presto ricredersi, poiché sono stati proprio gli uomini di Inzaghi a trarre maggior beneficio ed insegnamento da quel confronto. Una lezione dalla quale gli stessi giocatori hanno capito di potersi mettere, sia a livello tecnico che di atteggiamento, sullo stesso piano dei bianconeri e di poterli colpire facendo leva sui propri punti di forza. Le marcature di Luis Alberto e di Lulic, rispettivamente dell’1-0 e del 2-1, sono lo specchio di una formazione chirurgica nel portare tanti uomini in area altrui e, soprattutto, nel distribuirli negli spazi con estrema cognizione. Due azioni dalle quali emerge in modo chiaro la mano del tecnico piacentino, uscito ancora una volta nettamente vincitore dalla sfida delle panchine. Pur lasciando a tratti il timone del match agli avversari la Lazio ha sofferto poco o nulla il fraseggio dell’11 di Sarri, che ha prodotto i principali guizzi più da situazioni individuali che collettive, come lo stesso gol del momentaneo pareggio arrivato su una respinta di Strakosha, protetto poco dalla difesa dopo una conclusione di Ronaldo, convertita in rete da Dybala. Protezione che è mancata però in primis alla retroguardia guidata da Bonucci, troppo statica e aperta non solo negli episodi decisivi ed incapace, almeno con questo assetto, di sorreggere un modulo con tre attaccanti puri come Higuain e i già citati Ronaldo e Dybala. A livello tattico Inzaghi è stato ripagato anche dalle sue coraggiose scelte nelle sostituzioni, con Parolo e Cataldi, autore della magistrale punizione del 3-1 a tempo quasi scaduto, che non hanno fatto rimpiangere nel finale Leiva e Luis Alberto, tra i migliori della serata ma entrambi con la spada di Damocle del cartellino giallo.
Il contributo fornito nelle ultime uscite proprio da “12° uomini” come Cataldi, Parolo e Caicedo dimostra quanto questa rosa non sia in realtà così corta, sebbene necessiti, proprio in luce dello status che sta guadagnando, di qualche puntellamento. La palla adesso passa quindi nelle mani di un Lotito che, forte del 6° titolo della sua gestione, dovrà palesare coi fatti quella volontà, espressa in settimana ai microfoni dell’Associazione Stampa Estera, di non porre limiti alla squadra. Nei prossimi mesi questa Lazio, priva anche di impegni europei rispetto alle dirette concorrenti, avrà infatti un’occasione quasi unica non solo per entrare in Champions, ma anche per tenere vivo un campionato ancora in cerca di un padrone. Quando inizi a correre veloce del resto è più difficile chiedere di frenare e in molti sognano ormai, anche in maniera giustificata, che la Supercoppa messa in bacheca a Riad rappresenti più un trampolino di lancio, che un punto di arrivo.