di Marco Bea
L’11° vittoria consecutiva, ottenuta sabato ai danni della Sampdoria nel match di apertura della prima giornata di ritorno, è stata forse la più semplice per gli uomini di Inzaghi, non solo per l’eloquente score numerico di 5-1. La Lazio ha infatti passeggiato a ritmi da “struscio” pomeridiano al cospetto dei blucerchiati, portandosi già al 20’ sul 3-0 ed amministrando poi il corso degli eventi con quella tranquillità tipica delle grandi. Al di là della tripletta di Immobile, per lui sono addirittura 23 i gol in queste prime 20 partite di campionato, il tema vero di quest’ultima uscita riguarda una peculiarità che questa squadra ha affinato oltremodo nella stagione corrente, che emerge in maniera chiara soprattutto nei confronti diretti con chi staziona stabilmente sul lato destro della classifica.
Le disgrazie difensive degli uomini di Ranieri, con la coppia centrale composta da Colley e Chabot sugli scudi in quanto a svarioni sia tecnici che di concentrazione, ci forniscono infatti una pezza di appoggio per parlare dei pregi della retroguardia biancoceleste. Per qualità e produttività la Lazio è infatti riconosciuta in primis come una pregiata macchina offensiva, ma il vero segreto dei recenti successi risiede anche in una solidità mai così tangibile sotto la gestione Inzaghi. Il reparto arretrato, spesso sottovalutato quando si parla delle caratteristiche di questa formazione, è infatti secondo soltanto a quello dell’Inter di Conte in Serie A, con appena 18 reti subite in 20 incontri e 6 “clean sheet” da parte di Strakosha. Dati che certificano una netta inversione di tendenza rispetto alle ultime annate, nelle quali la compagine capitolina si era sempre segnalata come la più vulnerabile tra quelle in lizza per i piazzamenti europei, tra amnesie individuali e di squadra a volte oltremodo sanguinose. Una spiegazione di questo radicale cambiamento di pelle può essere rintracciata nel fatto che questa Lazio soffre meno, ma sa anche soffrire meglio, grazie anche a quella tanto agognata stabilità nella composizione del pacchetto dei titolari. Acerbi si è infatti dimostrato un leader, per carisma ed affidabilità, tutt’altro che inferiore a De Vrij, perfetto per integrarsi sia con un giocatore in ascesa come Luiz Felipe, al pari del quale può essere impiegato sia come centrale che come laterale della linea a 3, che con una vecchia certezza come Radu, tornato su livelli inaspettati dopo la temporanea epurazione estiva. Un equilibrio che non sarebbe tale senza delle riserve, come Patric e Bastos, pronte a dare il loro contributo pur nella consapevolezza di rimanere tali e senza la protezione non solo di esterni a tutto campo come Lazzari e Lulic, ma anche di mediani come Leiva e Milinkovic, sulla cui propensione al sacrificio in molti non avrebbero scommesso.
L’amalgama nel proprio lato del campo fa la vera differenza per trasformare una buona squadra in una squadra di vertice e non è un caso se, negli ultimi anni, l’unica Lazio da Champions o quasi è stata quella del 2014-15, 3° sia in classifica che nella graduatoria delle migliori difese. Difficile prevedere ad oggi i destini del campionato in corso, ma molto passerà dalla capacità delle prime 3 della classe, racchiuse al momento in un fazzoletto a livello di gol subiti, di mantenere più o meno intaccata la loro porta. Un buon fortino per essere tale non deve vacillare neanche quando si alza l’asticella in termini di tensione e di posta di in palio, con il derby della settimana prossima che rappresenterà forse il test più attendibile possibile per saggiare il polso e la fermezza dei ragazzi di Inzaghi.