Matteo Quaglini Se George Lucas, il famoso regista di Guerre Stellari, decidesse di girare un lungometraggio sugli imperi nello sport chissà forse sceglierebbe il Cska Mosca pallavolo e il Real Madrid come protagonisti. Il cast, tra cui scegliere, è vero sarebbe ampio e ricco di una moltitudine di soggetti da premio oscar, ma l’Armata Rossa dominatrice dell’Europa della palla in aria e la squadra eletta regina del XX °secolo (nominata dalla FIFA nel 2000) non possono che essere gli attori di questo famosissimo remake: l’impero colpisce ancora. Qui non è dato sapere se il Cska e il Real incarnino Palpatine, Darth Fener oppure Luke Skywalker o Jan Solo alias Harrison Ford. Ci basta raccontarne la grandezza, proprio come quei grandi attori della storia del cinema che sanno rappresentare il gotico e l’arabesco, il bello e il brutto, il buono e il cattivo. Il Cska Mosca e il Real Madrid nella loro immensa grandezza sportiva sono come i personaggi di Sergio leone, manichei. Ma anche doppi nelle più profonde sfaccettature della personalità.
La loro storia si incrocia nella prima metà degli anni ’40. Tra il 1943 e il 1946, più precisamente. Si tratta degli anni che racchiudono la fine della guerra mondiale e delle sue atrocità e il primissimo dopoguerra, il periodo della rinascita. Il Real Madrid esiste, sulla scena dello sport, dal 1902 l’anno della fondazione e con il suo nome leggendario dal 1920 quando, dopo aver raggiunto il quinto trionfo nella Coppa del Re, sua maestà il re Alfonso XIII di Spagna gli conferisce il titolo regale con tanto di corona e stemma dei giorni nostri.
In quel 1943, nella Spagna neutrale e non belligerante del Caudillo Francisco Franco, diventa presidente del sodalizio che rappresenta la Castiglia nello sport: Santiago Bernabéu, che presto tutti impareranno a chiamare “Don”. Tre anni dopo, nel 1946, nell’Urss staliniana e vincitrice dell’orco hitleriano, viene fondato il Cska Mosca la squadra che trasla l’Armata Rossa. Anzi, più precisamente, è l’Armata Rossa. Nomen omen, Cska significa infatti, Club Sportivo Centrale dell’Esercito ed è una polisportiva gigantesca e poliedrica, con 35 discipline che racchiudono l’idea di forza e sacrificio per la causa della storia russa, caratteristica di tutto un popolo. Una polisportiva grande come quella del Real nel basket e per un tempo anche nella pallavolo.
L’esempio più grande di questa storia che esalta l’eroismo per la patria, è il ricordo che in quell’immediato dopo guerra caratterizza il rituale di iniziazione della squadra di pallavolo. Tutti i componenti del sodalizio hanno sempre ricordato i compagni dell’Armata Rossa morti a Stalingrado, la battaglia che cambiò le sorti della guerra. Il culto del sacrificio da una parte, quello della nobiltà dall’altra. Il Real Madrid invece ha fondato il suo magistero sull’unione, anche storica e non solo sportiva, dei concetti cari alla Spagna di fine ‘400: unità dello Stato, la corona nelle mani dei re cattolici, la centralità della Castiglia.
Uguali nell’idea di essere un impero, identiche nell’avere un orgoglio proprio, perfettamente speculari nelle vittorie in Coppa dei Campioni: 13 per i guerrieri russi, 13 per gli hidalgos spagnoli. La loro epopea nella Coppa dalle grandi orecchie è stata immaginifica e speciale, marcando un modo di giocare e di vincere che ha fatto scuola per i futuri grandi tra le squadre che schiacciano e quelle che segnano gol. In alcune circostanze le avventure, nella notte dei campioni, si sono incrociate. E’ capitato nel 1960 quando entrambe hanno vinto la Coppa. Il Cska Mosca batté il Rapid Bucarest, in un vecchio duello sempre nobile con i rumeni, mentre a Glasgow nel mitico Hampden Park Di Stefano e Puskas davano la quinta coppa consecutiva agli imperiali in maglia bianca.
Poi, i destini paralleli si rimisero sullo stesso cammino due anni dopo nel 1962. L’Armata Rossa della pallavolo che si avvicina sempre più a diventare sport olimpico e quindi eletto, vince ancora mentre il Real dei generalissimi cade di fronte allo scatto, alla potenza, al tiro di un uomo venuto dal Mozambico: Eusebio, mitologica pantera nera del dio pallone. Lì il Real Madrid trova sulla strada della gloria imperitura la vittoria nella Coppa Campioni del 1966 e si ferma, mentre il Cska Mosca espande il suo impero di trionfi. L’epopea inizia nel 1973 e si apre con un trittico che ricorda quelli dell’Ajax di Cruijff e Michels e quelli del Bayern Monaco dei Cavalieri Teutonici guidati dal
Kaiser Franz Beckenbauer. Dopo il 1975, rivince nel 1977 e nell’82 a Parigi mentre i suoi giocatori diventano il cuore pulsante dell’Urss che vince tutto sottorete. In quest’altra similitudine sta la grande analogia tra i due imperi. L’aver saputo valicare i confini gettandosi nei territori da conquistare a Nord, come a Sud, verso Est come verso Ovest. Questa emulazione dell’impero romano o greco o persiano o macedone o napoleonico, hanno valso il successo certo ma non solo. Tutto questo ha valso la possibilità, domani, di scrivere la storia. E di ricordarla.
Campioni per sempre sul suolo patrio con 25 campionati sovietici, 3 coppe dell’Urss e 3 Super coppe europee per il Cska Mosca a cui la storia geopolitica ha aggiunto, una volta decaduto l’impero dei soviet, 3 campionati russi e 1 coppa di Russia. Tra i confini della Penisola Iberica il Real Madrid , nell’eterna lotta con il Barcellona, ha dominato la Liga con i suoi 33 ori che l’hanno incoronato come voleva re Alfonso XIII, sovrano del calcio in Spagna.
Nell’impero si sa ci sono i re, i marescialli, i gran duchi, i principi, i soldati, i nobili. Elencarli tutti questi magister del gioco sarebbe impossibile vista la loro vastità. Ma qualcuno merita di lasciare il segno nella galleria dei campionissimi. Uno di questi è stato Aleksandr Savin, due metri per 97 kg campione olimpico, mondiale e europeo, cinque volte sul trono d’Europa come Alfredo Di Stefano. Del grande fuoriclasse è stato l’emulo, immaginate Don Alfredo e vedrete Savin. Un dioscuro alto, forte e invincibile. Dalla classe cristallina, dal liderato sicuro, dall’incisività tecnica indiscutibile proprio con Alfredo Di Stefano nel mitico Real. I Cesnokov, i Dorochov, i Kondra, Sapega possono essere annoverati tra i grandissimi dell’Armata che ha dominato la pallavolo internazionale e assomigliano molto alla generazione yé-yé degli Zoco, dei Santamaria, degli Araquistain che succedette ai duchi del quinquennio d’oro (1955-60) Rial, Puskas, Kopa e sua maestà Di Stefano. Così come la Quinta del Buitre corte dei miracoli del principe Butragueño assomiglia moltissimo alla nuova generazione della perestroika sovietica del Cska Mosca capace di vincere le Coppe dei Campioni 1986, 87, 88 e 89 in uno storico poker in cui sbatté anche la classe dei fuoriclasse della Panini Modena. Poi l’orso russo dagli occhi sovietici finì e con esso passò dalla cronaca alla storia una grande epopea. Gli ultimi trionfi, dai campionati consecutivi vinti dal ’70 all’83, alla Coppa Campioni ’91 testamento sportivo dei più grandi fino all’ultima vittoria nell’anno 1996 di Santa Madre Russia. In quegli stessi anni, 95-97, il Real di Valdano e Capello con Raul, Suker e Roberto Carlos riapriva il ciclo di vittorie interrotto dal grandissimo Barcellona di Cruijff per lanciarsi fino ai giorni nostri di Ronaldo e Zidane, storie di qualche anno fa. Il Real è rimasto un impero perenne, il Cska Mosca prima scioltosi e poi rifondato, dopo il declassamento nella terza divisione e la rifondazione nel 2008 con un suo ex fuoriclasse Dimitrij Fomin gioca di nuovo il campionato russo. Non è più l’impero con la “i” maiuscola, ma un piccolo ducato. Poco male la storia dei grandissimi comincia e ricomincia sempre da un piccolo territorio.