di Dario Vito
No, non volevo. Non volevo essere uno dei tanti. Uno di quelli che si è ricordato di te per qualche secondo, ma che per una vita alla tua personalità ha associato cocaina, alcool e disgusto. Non volevo minimamente essere avvicinato, anche nel giorno della tua morte, a quelli del “Maradona, come giocatore fantastico ma come uomo…”. Tantissime persone si sono impossessate in queste ore di te. “Il migliore di tutti” hanno scritto, quando hanno sempre rivendicato la superiorità di Messi o Ronaldo. Non ti hanno risparmiato niente, anche sotto terra, fino all’ultimo. Hanno dovuto ribadire questo concetto, che tra le persone celebri tu rimarrai uno di Serie B, per loro. Come se fosse importante ed interessasse a qualcuno. Non a me. Insomma, non volevo essere banale. Silenzio. Nel silenzio, mi sono chiuso in questi giorni canticchiando e pensandoti felice dietro ad un pallone, possibilmente con la maglia azzurra. Non piango il calciatore, non l’ho vissuto, non posso. Anche se mi appartieni. Ogni Napoletano ha un Maradona dentro. Piango l’uomo, quello sì. Piango un’anima libera, uno spirito libero. Piango una persona felice, amante della vita. Bello, intelligente, carismatico, un “hijo de puta” affascinante, s’intende. Ovunque sei andato, hai lasciato il segno. Campo di calcio, pista da ballo, con un microfono puntato, in un teatro, mai sei stato banale. Per me, sei stato uno di casa. Mio padre ti ha seguito ovunque, per te avrebbe fatto qualsiasi cosa. Mia mamma, grazie a te, ha vissuto appassionatamente il calcio vero. I miei fratelli, hanno avuto il privilegio di sedersi sulle tue gambe mentre tu parlavi loro di Cristina d’Avena. Io ti ho visto a pochi passi da me, preso di petto e gettato in un pulmino, perché quasi non ti reggevi in piedi, perché le tue gambe non ce la facevano più. Sei stato massacrato, e tu fino all’ultimo non hai mai fiatato con esemplare rispetto. Mi hanno chiesto spesso chi fosse il mio calciatore preferito, ed io indubbiamente ho avuto forti simpatie per alcuni, ma la mia riposta era mai spinta, perché ci sei stato, ci sei e sempre ci sarai tu e le tue giocate a rispondere. Piango per le tue parole. Piango la tua immedesimazione dell’essere partenopeo. Mai una dichiarazione che non ti personificasse nel nostro popolo. Italia 90’, il punto più alto di napoletani che un Napoletano potesse esprimere. Piango per le lacrime che hai fatto versare a mio nonno ed a tutte le persone che con te, se ne sono andate felici. Piango, per il destino che la vita ti ha riservato, troppo precocemente ed in maniera molto crudele. Persone come te, meritano di vivere 100 anni.
Hai fatto felici tanti, molti, troppi; pochi sono quelli che possono parlare male dite, e di certo non mi riferisco a quelli che hai fatto piangere sportivamente con la nostra maglia e perciò, non se ne faranno mai una ragione. Magari ad un tuo figlio, ma che per te ha avuto solo amore e pazienza nell’aspettarti e ritrovarti, perché “o’bben si ce sta, nun se po scurdà”. Ma non spetta a noi tanti giudicare. Anche se molti, si sentono in diritto di farlo. Io mi tiro indietro, continuo a piangerti e rimpiangerti. E lo faccio in una giornata normale come tante altre, come se mi fossi privato di una cosa che per me rappresenta solo amore e felicità. Perchè Diego, tu questo sei stato, per me: Amore e Felicità per altri.
Mi auguro solo che adesso, veramente, starai riposando tra le braccia di chi veramente ti ha amato per quello che sei stato e non per quello che hai dato. E spero che tutte le persone che hai fatto felici, adesso ti stiano continuando a stringere la mano, quella sinistra ovviamente, per aver permesso loro di percorrere il viaggio più oscuro con la luce nel cuore.
E adesso, basta, perché potrei diventare banale, e questo proprio non lo voglio.
Te quiero Diego, siempre.