di Luca Lippi
La settimana scorsa comincia il passaparola sull’affaire Zaniolo e le sue presunte vicende sentimentali. Lui fugge dai social, mentre la mamma corre sotto il riflettore a prenderne le difese.
L’epilogo di questa vicenda, artatamente resa squallida dai quotidiani, è solo qualcosa di strettamente personale. Nulla che lasci pensare a una storia diversa da milioni di altre storie simili, eppure non si fa altro che parlarne, soprattutto a sproposito.
C’è forse la volontà di minare il percorso di crescita dell’atleta? Perché?
Zaniolo arriva alla Roma come un presunto talento, quasi destinato subito alla cessione, qualora avesse dato conferme sulle sue doti tecniche e atletiche. Già questo è un forte segnale di pressione. Usato spesso come veicolo per anticipare una ulteriore mossa di mala gestione della vecchia proprietà. In ogni caso una forte pressione per il giocatore ancora adolescente.
Il ragazzo è indiscutibilmente bravo, ma appena arrivato a Roma i soliti ‘bombaroli di mercato’ gli hanno subito buttato addosso il fardello del predestinato. Un fardello pesantissimo lasciato orfano da chi ha brillato senza soluzione di continuità per 24 anni e sempre con la stessa maglia. Ci vorranno altrettanti anni di fulgida carriera per chiunque prima di essere paragonati al Capitano.
Quel fardello così pesante ha piegato il presunto erede frantumandogli i legamenti di cristallo, la psicologia sportiva moderna potrebbe confermare o confutare questa ipotesi, sta di fatto che Nicolò ha avuto i suoi tempi per disintossicarsi dalle aspettative altrui.
A questo punto, i professionisti della comunicazione, orfani di un calcio degno di questo nome (causa emergenza sanitaria), cominciano a stravolgere la loro professionalità passando da osservatori sportivi a frenetici cercatori di gossip.
Dunque Zaniolo è una ghiotta occasione per riconvertire una professione così come le fabbriche in tempi di guerra. Da qui a rincorrere la madre del giocatore per intervistarla ficcando il naso negli affari personali della famiglia per arrivare a quelli del ventenne, il passo è stato breve. E allora a cascata tutti a cercare nel cassetto dell’intimo dell’infortunato che fino ad aprile non potrà far parlare di sé solo per le sue gesta atletiche.
È vero che il talento ventunenne non ha fatto molto per evitare di essere attenzionato dagli avvoltoi dell’informazione pruriginosa, e già questo lo allontana dal legittimo proprietario del fardello di cui sopra.
I vecchi cronisti sportivi accudivano e celebravano il calcio raccontando le gesta sportive delle squadre e dei loro giocatori, senza inquinare quelle righe vergate con passione con la loro personalissima appartenenza a una a un’altra squadra.
Oggi ci troviamo di fronte a un mondo di pennivendoli, spesso tifosi, col solo scopo di procurarsi qualunque informazione per giustificare un articolo. Poco importa che sia una trattazione di carattere tecnico sportiva o semplicemente una squallida storia da raccontare per screditare un ragazzo. Come giocatore? Macché, come uomo! Questo è un danno per un immaturo atleta sulla via del successo. Forse proprio la Stampa dovrebbe proteggere da certe ‘mine’ quelli che alla Stampa daranno tanto da scrivere per celebrarne le gesta. Così come si è fatto per Best, passando per Maradona, stelle indiscusse di certo non umanamente celebrabili.