(di Gianluca Guarnieri) Una leggenda, un mito, un uomo. Un uomo speciale, capace di imprimere la sua impronta nella storia. La storia di un club calcistico ma di un’intera città. L’uomo speciale è Dino Viola, il più grande Presidente della storia giallorossa. Sono passati 30 anni da quel gelido e triste sabato 19 gennaio 1991, dove l’Ingegnere di Aulla salutò i suoi tifosi, ma lo scorrere del tempo non ha scalfito la sua memoria restando un’autentica icona per i romanisti, consci di aver vissuto sotto la sua presidenza ad una vera età dell’oro. Cosa ha cambiato Dino Viola? Probabilmente tutto. Prima di lui, la Roma viveva stagioni tormentate, con l’obbligo di tirarsi fuori dalle sabbie mobili della zona retrocessione, con il culmine del drammatico Roma-Atalanta 2-2 del 6 maggio 1979, dove chi era presente visse attimi di tormento ed estasi suggellate dal pareggio di Roberto Pruzzo e dall’invasione di campo per festeggiare una salvezza insperata. Viola giunse poco dopo, prendendo il posto di Gaetano Anzalone, tra le lacrime del Presidente uscente, dando un input nuovo alla società con la concretezza e il pragmatismo propri dell’Ingegnere, che iniziò un periodo di 12 anni indimenticabili, con vittorie (tante), onori e scontri con la vera rivale degli ’80, ovvero la Juventus di Boniperti. Proprio con la “Vecchia Signora” l’Ingegnere ingaggiò una sfida senza paura, affrontando il potere della società degli Agnelli, con tutta l’arguzia e le capacità lessicali di Viola, autore del celeberrimo “violese”, ovvero un linguaggio ermetico e ricco di nonsense che spesso e volentieri mise in crisi la dirigenza bianconera, incapace di replicare a tale tagliente eloquenza. Furono anni indimenticabili, con lo scudetto del 1983, evento atteso nella Capitale da 41 anni, una finale di Coppa Campioni perduta ( soltanto ai rigori) per un crudele scherzo del destino, nonostante una prova impeccabile della squadra; anni di sogni di Scudetti, di Coppe e di Campioni, vedi Falcao, Cerezo, Conti, Tancredi, Pruzzo, Capitan “Dibba”, Nela e molti altri, anni dove il tifo romanista conquistava l’Europa e il mondo, con il Commando Ultrà e una Curva Sud, simbolo di passione e di attaccamento. Proprio quel Commando che ebbe un rapporto invidiabile con quel Presidente che considerava quei ragazzi, i “suoi ragazzi” e che si spezzò in due blocchi all’acquisto dello sgradito Manfredonia, forse unico errore di un dirigente, volitivo ed orgoglioso. 12 anni incancellabili, che segnarono il giro di boa nella storia della A.S. Roma, dove nulla fu uguale a prima. L’Era Viola modificò sostanzialmente il modo di pensare del tifoso romanista. Nulla fu più come prima, e il pensare a salvezze stiracchiate fu lasciato nella soffitta virtuale dei ricordi. Il destino mandò quell’uomo che si era innamorato dei colori “Oro e Porpora” seguendo un corteo di tifosi diretti a Campo Testaccio, nel momento giusto, per la fortuna di quella fede nata in un bel giorno dell’estate dell’anno del Signore 1927. Di tempo ne è passato, ma il ricordo non si è affievolito. Un uomo speciale. Un uomo come Dino Viola.