(di Gianluca Guarnieri) Un gentleman. Un signore dotato di ironia e sportività, doti unite ad una classe unica e ad un’arguzia elegante e sopraffina. Nils Liedholm era così. Il più grande allenatore della storia della Roma era nato a Valdemarsvik l’8 ottobre 1922 sotto il segno della Bilancia, ed era divenuto un’autentica leggenda da calciatore, formando un trio delle meraviglie con i connazionali svedesi Gren e Nordhal, vincendo praticamente tutto. Liedholm, campione capace in carriera di arretrare il proprio raggio d’azione divenendo anche un difensore, abile nel creare ed impostare gioco, e di segnare in una finale mondiale, perdendo soltanto contro il Brasile dell’insuperabile Pelé (oltre a Didì, Vava e Garrincha) nel 1958. Amò sempre il calcio brasiliano, tanto da portare da allenatore a Roma il suo alter ego calcistico, Paulo Roberto Falcao, ma amò sempre la Roma, sua grande passione calcistica insieme al Milan che lo aveva visto protagonista. Intelligente e sorprendentemente scaramantico per uno scandinavo, il “Barone” trovò terreno fertile nella Capitale, riuscendo a compattare un ambiente turbato dallo scudetto laziale nel 1974, e a riportare la Roma al terzo posto dopo un ventennio, con l’invenzione della “Ragnatela”, con i goal di Prati e le giocate di Cordova e De Sisti, unite alle folate meravigliose di Francesco Rocca sulla fascia. Proprio la Lazio di Chinaglia e D’Amico conobbe la sagacia di Liedholm, bravo a sconfiggerla per tre volte su tre (2 in campionato e 1 in coppa Italia) . Il suo capolavoro, lo svedese lo realizzò nella seconda tornata giallorossa, dove il mister giunse dopo lo scudetto in rossonero 1979, richiamato nella Capitale dal presidentissimo Dino Viola. Scudetto sfiorato nel 1981, poi vinto nell’indimenticabile 1983, tante Coppe Italia, molti campioni creati (Conti, Di Bartolomei, Giannini, Ancelotti, Nela, Tancredi sono sue creature… come Antognoni, Bettega e Franco Baresi altrove), la finale di Coppa dei Campioni perduta solo ai rigori in quel terribile 30 maggio 1984. Liedholm rappresentò l’autentica Golden Age giallorossa, l’arcadia dei tempi più belli. A lui si ispirarono maestri del palcoscenico come Vittorio Gassman e Carmelo Bene, colpiti dalla cultura e dalla pacatezza del maestro svedese, amante dell’arte e della cultura, abile nel vincere varie battaglie come l’introduzione della “zona totale”, in una nazione che aveva sempre fatto prevalere la marcatura “ad uomo”, resistendo alle critiche feroci di una certa stampa, guidata da italianisti pervicaci vedi Gianni Brera. Quella Roma cambiò il calcio italiano e fu grazie al suo input. Manca molto anche il suo approccio, sempre misurato e cortese, in un calcio divenuto sempre più isterico e nevrotico. Indimenticabile Barone…