di Daniele Craviotto
È l’anno 1970 quando Orietta Berti esce con lo straordinario successo <Fin che la barca va>. Proprio un’emiliana sembra calzare a pennello con la situazione blucerchiata, dopo l’ennesima sconfitta casalinga contro l’emilianissimo Bologna. Giocatori che vogliono essere decisivi, cercano sempre la giocata e finiscono per essere mai incisivi. Insomma chi troppo vuole, nulla stringe. Ricordano il fratello peruviano della canzone che voleva un grattacielo alto come il cielo e alla fine ha perso anche quello che aveva. La Samp ha fatto così nel primo tempo, dopo il gol e dopo il secondo svantaggio. Totale confusione, cercare sempre il gol facile, senza notare se fosse più corretto fare altro o accontentarsi. Ma il problema non può essere imputato solo a chi scende in campo. A “non remare” sono state tutte le componenti. Basta vedere il ritiro che da punitivo è diventato una 3 giorni (quasi come il più classico dei weekend estivi). Scelta incomprensibile, a meno che non si fosse capito che a nulla stava servendo. Un’indecisione sulla rotta da scegliere e quasi un senso di lasciare andare tutto alla deriva. Da analizzare anche le conferenze stampa di mister D’Aversa. Ormai completamente spente, con frasi ripetute (quasi) a memoria e che i fatti smentiscono puntualmente. Il ritiro non ha, purtroppo per il Doria, cambiato nulla. Occasioni sprecate, attacco spuntato, difesa colabrodo e prima difficoltà che scioglie la squadra come neve al Sole. Altro fattore di ripetizione sta nel fatto che, quando la Samp segna, l’azione dopo subisce un’occasione pericolosissima senza colpo ferire e con Audero chiamato a disinnescare. Era capitato con Spezia e Cagliari. Peggio è andata con i felsinei che hanno fatto durare un battito d’ali il pari doriano. Un delitto bello e buono considerato il momento. Inoltre a ragionare come la parte più famosa della canzone, cioè <Fin che la barca va, lasciala andare>, sembra essere la società. Presidente completamente assente e disinteressato alla questione. Un istrionico come Ferrero che rilascia zero dichiarazioni fa notizia. Tutto sembra essere stato delegato a Daniele Faggiano, la cui comunicazione sta confondendo ancora di più. Mentre l’allenatore parlava di ritrovata compattezza dimostrata dalle diverse componenti societarie, il ds espressamente diceva prima della partita replicava con un “Abbiamo fatto troppe parole, ora dobbiamo fare i fatti” che denuncia una mancata coesione. Infine il fastidio di capitan Quagliarella nella rifinitura, che ha lasciato orfana la ciurma di una guida nelle acque tumultuose della zona retrocessione. Anche su questo punto alcune nubi si sono abbattute sulla barca. Il giocatore di Castellammare si scalda per un po’, ma alla fine entra Torregrossa. Ma a stupire è la sua faccia inquadrata dopo gli ultimi cambi blucerchiati, che ne certificano la panchina. Quasi di sconforto per quello che stava succedendo e di distacco dalla guida tecnica. Un naufragio completo. Ora arriverà il quasi certo esonero dell’allenatore di Stoccarda e sarà fondamentale capire se fosse lui la “barriera” che ha impedito per ora di prendere la giusta corrente o se la barca <lasciata andare> si stia inabissando senza repliche. Nell’evitarlo furono maestri Ranieri e proprio Mihajlovic. Questa volta, però, la paura che l’attesa per le decisioni, non solo sul tecnico, sia stata eccessiva aleggia pesantemente nell’aria. Se così fosse sembra scritto il verdetto:”Fin che la barca è andata, cara Samp l’hai lasciata affondare”.