di Daniele Craviotto
Ricordate tutti il «ne usciremo migliori» che tanto ci ha tormentati nella prima fase del COVID? Tutti convinti che il distanziamento sociale avrebbe portato a una maggiore attenzione verso il prossimo e ad apprezzarlo. Ecco dimenticate tutti i buoni propositi e immergiamoci in una storia medievale. Anzi no, un racconto che sa di preistoria dove già a quel tempo la donna era un semplice oggetto alla mercé delle tribù. Ma il fatto che narro si svolge nel “modernissimo” e contemporaneo 2021. Precisamente il giorno 27 e sono da poco passate le 17. Una professionista (non «una ragazza» come molti titoleranno in seguito) si trova fuori dallo stadio Castellani. È appena terminato il derby della provincia di Firenze tra Empoli e Fiorentina. I padroni di casa ribaltano i viola e vincono un incontro che li proietta nelle zone nobili della classifica. La giornalista, che lavora per Toscana TV decide di andare a sentire quali fossero gli umori dei tifosi della squadra, in quel giorno, sconfitta. Una cosa normalissima che chiunque, da reporter, farebbe.
Quello che accade, invece, di normale non ha proprio nulla. Greta Beccaglia, questo è il suo nome, viene barbaramente molestata in diretta tv. Una pacca sul sedere da parte di chi probabilmente non ne ha prese abbastanza. Un palpeggiamento incivile ancora più spinto da parte di un altro tifoso. Frasi incommentabili da parte di persone alle quali la Beccaglia ha semplicemente chiesto un commento. Una missione difficile, ma questi civilissimi che popolavano il settore ospiti a Empoli sono riusciti nell’impossibile impresa di fallire. Una scena da tricoteuse ha poi svolto l’ambiente circostante. Nessuno che abbia sostenuto o protetto una professionista che stava svolgendo il suo lavoro. Tutti impassibili e alcuni quasi divertiti dall’umiliazione che subiva e, a questo punto, anche un po’ eccitati. Dallo studio le viene pure intimato più volte «non prendertela» o che queste cose fanno parte della crescita professionale. Un quadro cubista delle emozioni, che nemmeno Picasso sarebbe riuscito a trasfigurare. Invece di consigliarle di recarsi subito dalle autorità e denunciare l’accaduto, il conduttore le dice di reagire(a telecamere spente) lasciandola così in balìa delle onde.
Purtroppo nel mondo del calcio, di stragrande maggioranza maschile, questo non rispetto della donna è ancora troppo marcato. Mi vengono in mente i cori fatti a Napoli nei confronti di Diletta Leotta. O ancora il “nobile” «O bella bionda mettiti a novanta» e quello che ne consegue di matrice bergamasca. O l’onnicomprensivo «quella (mora, bionda, rossa scegliete voi) fa la pornostar, puttana!». La giustificazione? Goliardia. Le colpe? Essere donne appassionate di sport e soprattutto di calcio, tanto da tifare o farne una professione. Non parliamo poi della scelta di molte trasmissioni di far fare a una ragazza la valletta o la co-conduttrice silenziosa. Sono tutti fattori che sminuiscono il valore del genere femminile agli occhi della nostra società. Tra l’altro il giorno dopo la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Una commemorazione istituita per i più atroci dei motivi: molestie, stupri e omicidi. Mi fa rabbrividire quando sento dire dai mezzi di informazione che «ancora troppi sono…», come se ci fosse un tetto massimo consentito per la commissione di questi fatti. Nonostante i segni o i capi colorati di rosso si è capito che la mercificazione della donna è una delle malattie più complicate da estirpare. In migliaia di anni il vaccino non è ancora stato trovato purtroppo.
È impossibile per me immaginare come la giornalista Beccaglia si sia sentita in cui momenti. Spaventata, abbandonata e inerme. Da uomo per me è un dolore immenso pensare che noi maschi non siamo ancora capaci di vedere solo la professionista che lavora. Mi ha fatto ancora più male sentirla interrogarmi sul fatto di aver messo i jeans stretti. No sono io, invece, che inizio davvero a pensare che l’immensa cantante e donna Mia Martini avesse ragione. Greta (o Alessia o qualsiasi nome femminile vi venga in mente) comincio, con amarezza, a credere che davvero «Gli uomini non cambiano». O almeno molti. Questo inizia a preoccuparmi un bel po’.