di Gianni Massaro
L’Inter c’è e spacca, alla voce gol fatti spicca la squadra di Inzaghi, 49 nella massima serie con una media impressionante e mai fermandosi.
Ultima occasione risalente al gennaio 2021, ultima d’andata col titolaccio titolone d’inverno in palio e nel Friuli l’Udinese di Gotti stoppava i contiani sullo 0 a 0. La Fiorentina di Iachini invece la squadra in grado di fermare al Meazza i nerazzurri 0 a 0 vari mesi dopo.
L’Inter di Inzaghi ha saputo incassare e formarsi sino al commendevole filotto allacciato post derby. Vittoria col Napoli la prima dei sette bottini pieni inanellati e ben 6 clean sheet. Milinkovic l’ultimo a far affondare la barca nerazzurra e ultimo a colpire i siminzaghiani lontano dal San Siro.
L’Inter ancora qualche residuo di pazzia l’ha insita, divoratrice o sorniona, pronta a meravigliare o a deludere. Inzaghi ha saputo rafforzare l’impronta di Conte assillando meno, placido il giusto in una squadra da una tenuta mentale ottima e che palleggia magistralmente spesso. La Serie A non è quella superlativa di un tempo tantomeno un’accozzaglia di dilettanti: disputare 6 gare consecutive senza subire gol lambisce la storia.
La gloria l’ha nel palleggio, l’Inter sa occludere vie di spiraglio anche se nelle prime giornate ha tentennato, imboccato il viale soleggiato ha una consuetudine con la solidità molto rimarchevole. Il cammino di una stagione ha mille sfumature, si può avere a che fare con magagne magne subito allontanate o con lievi intralci all’improvviso forieri di rallentamento. C’est la vie. L’Inter ha tanto da guadagnare e tanto da perdere mentre l’antagonista per antonomasia stenta ad avere la continuità tipica del casato sazia di vittorie per 9 anni. I nerazzurri godono di una più che ottima fusione da credo e crudo, il never back down instillato dal focoso Antonio tornado che ammaestra adirato e adorato sotto la più calma e ragionata installazione alternativa di Inzaghi si è confermato. E se di tanto in tanto la società ritorna a configurarsi parziale babele le travi che fanno spiccare il volo in ottica futura paiono esser tre: Bastoni, Barella e Lautaro. Il difensore il più piccino classe 1999 e gli altri 2 del 1997. La possanza di Skriniar, la massiccia eleganza e l’acume di de Vrij, la caparbietà assoluta di Barella e gli strappi infuocati di Perisic e da predatoria inclinazione Dumfries alternati alle più serafiche e sapienti corse di Darmian.
Il centrocampo non pregno di velocità e stazza bensì di regia, gestione e smistamento, con le seconde linee però di crescente senso rude e predisposizione al gioco senza palla.
Un’impalcatura che vede gran solidità in trincea e arma aggiunta nei difensori e nei tornanti con una catena di riproduzione assai ruspante.
Non si scoraggia e non butta via niente acciuffando le occasioni giuste e sciupandone varie proprio per consunto tono atletico o vacillante freddezza. L’Inter è sanamente robotica sotto il segno degli umani e ha fibra da compagine europea specie tra difesa ed esterni.
Una modellatura andata a scemare tra attaccanti e centrocampo, dove tra fisicità e velocità, attitudini e lucidità perde terreno rispetto ad illustri corazzate. Dal rendimento del triplice piano B effigie di freddura e vernice di freddezza Marcelo, inossidabile animo e cuore Barella e l’irrobustito Basto regista aggiuntivo dalle retrovie probabilmente dipenderanno le migliori proiezioni nerazzurre, mentre Lautaro viene atteso dal test dei test: estuoso dovrà fungere da finalizzatore di manovra, peculiarità non di Dzeko avvezzo a porsi addetto al gioco piuttosto che al famelico mirino.