Giovanni il Magnifico, figlio di nessuno

Posted By on Gen 6, 2018 | 0 comments


di Elia Faggion

 

Un progetto innovativo, per risultare competitivo, necessita sempre di tempistiche particolari. Soprattutto se l’idea è quella di partire da un foglio di carta nudo, vergine di ogni riferimento e privo di fondamenta. Il processo di maturazione della Fiorentina quest’anno è stato, per forza di cose, graduale e progressivo. Il 20 agosto, alla prima di campionato, con un drappello di giovani volti ignoti, conosciutisi dieci giorni prima al centro sportivo Campinila viola prende le pallonate a San Siro contro la neonata Inter di Spalletti. Finisce 3-0, nulla di più prevedibile.

“Ad agosto avevo tanti buoni giocatori, oggi ho una buona squadra”

Questa è stata l’uscita di Stefano Pioli alla vigilia della prima gara del girone di ritorno, ovviamente ancora contro l’Inter. Dire che queste parole siano le più adatte per descrivere il percorso della Fiorentina, è quantomeno corretto. È esattamente quello che viene percepito da chiunque guardi la sua Fiorentina giocare: la viola di oggi è un organismo pulsante che si muove e respira insieme, in maniera sincronica, quella di quattro mesi fa un grappolo improvvisato di ragazzoni messi in campo per calciare in avanti il pallone.

baùscia stavolta non vinceranno 3-0, a dirla tutta non vinceranno nemmeno. Vanno in vantaggio grazie ad un ragazzo argentino, nato il 19 febbraio 1993 a Rosario, che se non fosse un calciatore sarebbe il miglior alchimista del pianeta Terra, perché riesce a trasformare in oro tutto quello che gli gravita attorno, a patto che sia rotondo. Ha avuto due mezze possibilità, e ha segnato un gol. Ma a prescindere da questo prezioso regalo griffato Icardi, nel contesto generale l’Inter fatica terribilmente a giocare a calcio, contro un avversario famelico e grintoso. La Fiorentina morde e corre, l’Inter spesso deve guardarsi le spalle, suda freddo. Gli ultimi minuti si giocano in 20 metri, quelli limitrofi all’area di rigore nerazzurra: il martello viola picchia sul muro interista, che scricchiola ma non cede.

In uno dei battiti finali di questo agonico ed interminabile attacco fiorentino, il pallone viene protetto in area di rigore da Eysseric, sopraffino centrocampista ex Nizza. Il francese attira verso di sé due difensori, e una frazione di secondo prima del loro intervento, con la punta del mancino libera lui, il giocatore che qualche secondo più tardi siglerà il gol del definitivo pareggio.

Se sei argentino, giochi a calcio, e lo fai indossando la 9 a Firenze, verrai inevitabilmente incanalato verso quei scomodi binari che puntano dritto ai parallelismi con Grabiel Omar Batistuta. Ma evidentemente questa volta i paragoni non ti toccano in maniera particolare, anche perché tuo padre Diego, con Batistuta, ci giocava assieme nella selecciòn argentina. Diego ha giocato (e vinto) anche con l’Inter, che sta per venire trafitta, guarda caso, dal siluro di suo figlio. Da piccolo il ragazzino, che ha scelto il calcio solo dopo la tentazione di darsi alla pesca sportiva, voleva diventare un mediano di rottura, proprio come il papà, ma essendo troppo gracile veniva impiegato come esterno. In quel ruolo andava forte, eppure con il tempo ha capito che voleva giocare più vicino alla porta, proprio come il suo idolo Ronaldo. Da subito sembra trovare enorme spunto come prima punta, e infatti quindicenne lo noterà Matìas Almeyda, che prima lo consiglia a Ramòn Diaz (allora allenatore del River Plate), e poi lo porta con sé al Banfield, dove segna 12 gol in 39 partite. Ironia della sorte, il papà Diego, Almeyda e Diaz, non solo in passato hanno giocato in Italia: tutti e tre sono stati all’Inter.

Giovanni ha caricato al massimo l’arto mancino, e sta per sganciare la bomba del pareggio, contro la vecchia squadra di suo padre e dei suoi grandi maestri. Contro il suo stesso passato e le malelingue, contro le ombre che fino a ieri oscuravano i suoi lineamenti da amerindo. In quel tiro c’è tutta la voglia di gridare il proprio nome al mondo, di far comprendere a tutti che i paragoni non gli interessano minimamente. El cholito è il soprannome affibbiatogli in onore del padre, ma forse dovremo abituarci a considerare Giovanni come un calciatore autonomo. L’atmosfera rarefatta e caliginosa, di fronte a Giovanni, si sta rapidamente sciogliendo a suon di cannonate micidiali e avvitamenti di testa da capogiro. Prepariamoci a questo meteorite, che prima o poi impatterà coi nostri cuori, senza il bisogno di capire da dove provenga.

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