Elia Faggion
Amarezza e sguardi sconsolati, negli occhi di chi ha spremuto tutto ciò che aveva da dare, ma che, al termine di una brillante esibizione, non ha ricavato una lira. Al “Grande Torino” l’Inter mette in mostra qualità e lucidità, domina il terreno, crea ripetute occasioni, batte sedici angoli, pizzica una traversa e sbatte sul palo, ma non muove la rete alle spalle di un tentacolare Sirigu.
Se fosse stato un incontro di pugilato i nerazzurri avrebbero largamente vinto ai punti, invece si gioca a pallone e gli unici guantoni del vincitore sono quelli del portiere granata, la piovra di Nuoro che ha calamitato qualsiasi tiro, dalla bruciante meteora di Icardi all’insidioso destro di Candreva.
Il colpo del KO è un mancino, quello di Ljajic, ex d’eccezione che dopo il gol alza le braccia in segno di rispetto verso i suoi precedenti osannatori. Handanovic viene così spietatamente trafitto, dopo 517 minuti di imbattibilità, e l’Inter perde per la prima volta dopo il collasso di Genova.
I lombardi non meriterebbero questo dispiacere, accuminato e acidificato dai risultati delle rivali capitoline: la Roma perde con la Fiorentina e rimane davanti, la Lazio vince ad Udine e raggiunge i giallorossi.
Così l’Inter scivola fuori dalla tavola delle prime quattro, sebbene si trovi ancora ad un tiro di schioppo. Era un’accogliente occasione per ritornare al terzo posto, si è trasformata in un tragico scivolone. Per la seconda volta di fila dopo il derby, l’Inter gioca meglio dell’avversaria ma non trova né il gol, né la vittoria. Segno che forse i meccanismi devono essere leggermente rettificati, ad esempio l’utilizzo di Borja Valero come trequartista, incapace di dare il cambio di spartito alla manovra interista, cosa che riesce invece al brasiliano Rafinha, formidabile direttore d’orchestra, più dinamico e verticale dello spagnolo, ieri titolare ma mai coinvolto alla perfezione nei rapidi schemi spallettiani.
È chiaro come Spalletti stia cercando di centellinare il secondogenito di Mazinho, ma è altrettanto lampante che la rinascita dell’Inter sia strettamente dipendente dall’impiego del danzante e creativo centrocampista sudamericano. Il sole torinese non ha brillato nemmeno sulle spalle di Perisic, in una di quelle giornate no, nella quale trasforma un appetibile pallonetto in un comodo assist per Sirigu, perde il pallone nell’azione derivante l’1-0 granata e favorisce, con una deviazione, la ricezione di De Silvestri che poi assisterà freddamente Ljajic.
Certo, se si osservano solo i numeri ottenuti nelle partite contro Milan e Torino è deprimente pensare che l’Inter se ne sia uscita solamente con un punto e abbia ceduto la quarta piazza. Ma non sono da gettare le ottime prestazioni messe in scena, la gigantesca mole di occasioni create e la determinazione nel cercare di segnare fino all’ultimo respiro.
Segnali confortanti in vista di un rush finale di stagione straordinariamente imprevedibile. Che Magari con un pizzico di cinismo in più.