Matteo Quaglini
Lorenzo Bernardi e Antonio Conte, i cannibali dello scudetto. Vincendo, per la prima volta nella storia della Super Lega di pallavolo, lo scudetto la Sir Perugia di “mister secolo” ha compiuto un’impresa sportiva esattamente uguale alla prima Juventus di Antonio Conte, quella che, nel 2012, battè l’ultimo grande Milan dell’era Berlusconi. I corsi e ricorsi storici, per dirla con Giovan Battista Vico, sono sempre li a testimoniarsi e a creare paralleli storici. Perchè Perugia ha battuto Civitanova, la squadra campione in carica, proprio come quella Juventus della rinascita sconfisse il Milan dato dagli esperti già nuovamente campione. Perchè sia Bernardi che Conte venivano dalla gavetta, Padova e la nazionale juniores per il grande fuoriclasse dell’era Velasco, Bari e Siena per il grande e indomito capitano della Juventus di Trapattoni e Marcello Lippi.
Lo sport di squadra ha fascino per questo, perchè muove e fa incrociare i personaggi in maniera affascinante e dirompente. Pensate agli sconfitti, a quelli cioè, che Conte sei anni fà e Bernardi oggi hanno battuto: Allegri e Medei, sono identici. Identici nel fisico filiforme, identici nell’amplob da panchina misurato sui tratti composti e glaciali alla Sir Wellington, quello che battè Napoleone a Waterloo. Identici nel modo di arrabiarsi e nei tempi, quando cioè stanno vincendo. Identici nell’essere algidi e così profondamente diversi dai due protagonisti della nostra storia parallela, Bernardi e Conte: iracondi, antipatici ai più, maniacali, ossessivi, compulsivi per la loro unica ragione di vita sportiva, la vittoria.
Il percorso di entrambi, se mettessimo gli anni 2012 e 2018 insieme, è identico. Lorenzo Bernardi arriva a Perugia nel novembre del 2016 dopo varie esperienze da panchina, anche in Turchia, viene a sostituire Kovac e a ricostruire Perugia dalle fondamente di un talento fin lì non in grado di esprimersi. Lo stesso percorso che fece Conte nell’estate del 2011, era come Bernardi, il grande campione che una volta allenatore viene chiamato a restaurare l’ordine spezzato delle cose, per migliorarle. La Juventus fuori dall’Europa, mestamente settima per due volte di fila in classifica, un patrimonio tecnico di giocatori sfiduciati e tristi, lo scudetto di stanza a Milano, troppo per il grande squalo bianco del nostro calcio, troppo anche per Antonio Conte che fin da ragazzo bramava e inseguiva la vittoria, che poi non era altro nella sua mente che il superamento di limiti e ostacoli.
Quella Juventus vincente nacque in un’amichevole di metà estate, a Lisbona, quando Conte capì come organizzare la squadra. Inizialmente il suo dogma era il 4-2-4, vangelo indiscutibile, poi venne acquistato Andrea Pirlo e il dioscuro della regia non poteva giocare con solo una “guardia” a centrocampo e due esterni votati esclusivamente alla corsa com’erano Krasic e l’olandese Elia. Così Conte capì e cambiò trovando il 3-5-2 di tradizione italiana che ben si sposava col concetto juventino del gioco, l’essenzialità. Questa mossa dette l’importanza ai ruoli di ciascuno: un grande portiere, tre difensori Barzagli-Bonucci-Chiellini stretti e larghi, un regista, un dieci come Del Piero, una mezzala d’inserimento alla Tardelli, riverdita nell’8 Marchisio, un centravanti, il tutto mescolato alla personalità, alla grinta, alla voglia di superare l’ostacolo.
La stessa mossa di rottura l’ha fatta Lorenzo Bernardi a Perugia quando ha dovuto definire i ruoli di Zaytsev e Atanasijevic, i due schiacciatori principe del suo castello offensivo. Tutti e due prime donne, tutti e due “bomber” che amano attaccare il massimo dei palloni possibili e, soprattutto, quelli che “scottano” validi per la vittoria. Conciliarli non era semplice, togliere uno dei due dal ruolo che ama era impresa titanica, far capire che il sacrificio poteva valere, com’è stato poi, lo scudetto sembrava un miraggio nel deserto della tattica, mare incompreso dai giocatori e anche dai campioni a volte.
Lorenzo Bernardi, che di attaccanti se ne intende più di chiunque altro essendo stato il più grande di tutti, c’è riuscito. Ha spostato Zaytsev in banda, al posto quattro, quello sulla sinistra del campo e togliendo qualche punto allo “Zar”, applicandolo in ricezione dove lui era un maestro di efficiacia, ha trovato la chiave alla Conte per aprire la porta complessa e affascinante, diffcile e sofferta, dello scudetto. Una costruzione, quella di Conte e Bernardi, che viene da un passo lontano, un’andatura prima lenta poi sempre più veloce, una marcia napoleonica, dove l’importante è avvinarsi a passo sicuro e spedito all’obiettivo, e dove la vittoria poi sia solo la naturale conseguenza di un’idea.
E ora? Ora ci sono già nuove avventure da vivere, nuovi traguardi da raggiungere: per Bernardi e Perugia, dopo la tripletta italiana, c’è la coppa campioni a Kazan nella tana del grande orso russo tre volte campione d’Europa in carica; per Conte c’è un finale di Premier da trasformare in Champions, un F.A Cup da vincere contro l’arrogante per lui, Mou. E poi, forse, Napoli: l’idea è suggestiva e anch’essa viene da lontano, De Laurentis e Sarri si parlano nel codice di chi, con tutta probabilità, sta per chiudere un rapporto. E allora perchè non ingaggiare l’ossessionato dalla vittoria, il maniaco del contro gioco, per battere la Juventus? Sarebbe la sfida massima per il Napoli, per De laurentis, per Conte, per la Juventus, una sfida grande, grandissima. Una sfida alla Bernardi.