(di Gianluca Guarnieri) Un giorno che non vorresti venisse mai. Il 30 maggio non è un giorno come un altro nella mente e nel cuore dei romanisti. Il ricordo della finale persa contro il Liverpool ma soprattutto, e ci mancherebbe altro, quello della scomparsa di Agostino Di Bartolomei, un Capitano speciale, uno delle più grandi bandiere della storia giallorossa, l’uomo che indossava la fascia l’8 maggio del 1983 giorno del secondo scudetto Oro e Porpora. E’ certamente emozionante parlare di lui, di quello che rappresenta, e di ciò che continua a rappresentare. Di Bartolomei resta un mito, un punto di riferimento assoluto verso generazioni che non lo hanno mai visto giocare ma che attraverso ricordi, filmati, libri e tanto altro, mantenuto un legame, una connessione sentimentale impossibile da spezzare. “Ago” resta. Forte, presente, da esempio. Lui, centrocampista classico, dotato di un senso tattico fuori dal comune, con un tiro leggendario, violento e preciso, micidiale sui calci di punizione che gli hanno fatto realizzare 50 reti in serie A con la maglia della Roma (63 contando anche Milan e Cesena), quasi infallibile dal dischetto. Un campione. Un campione vero. Legato come pochi alla sua maglia, modello d’ispirazione per eredi come Giuseppe Giannini, Francesco Totti e Daniele De Rossi, Agostino è il prototipo del perfetto Capitano. Forte, carismatico, leader silenzioso, pronto a prendersi le proprie responsabilità pur di difendere i propri compagni. Capace di mantenere una compostezza anche nei momenti di maggior tensione (memorabile il suo modo di dialogare con gli arbitri, portando le braccia dietro la schiena, in segno di educazione e rispetto…). L’uomo in più (come nel bellissimo omaggio cinematografico targato Paolo Sorrentino), bravo a spostarsi sulla linea difensiva, al fianco del granitico Pietro Vierchhowod grazie all’intuizione del Barone Liedholm (suo mentore assoluto) per creare una superiorità tecnica a centrocampo (insieme a Falcao, Ancelotti, Prohaska e Bruno Conti. Più che un “libero” un liberato (come diceva Ezio De Cesari), pronto a giocare a tutto campo e grazie al suo lancio lungo fantastico, di rifornire le punte e di mirare a rete, facendo tremare portieri e difese. Tanta classe, unita ad un’intelligenza e una cultura fuori dal comune (appassionato di letteratura ed arte), fanno di lui l’archetipo perfetto del campione umano, con le sue fragilità e insicurezze, lontano dal detonatore mediatico odierno. Un’icona immortale, meravigliosa e fragile.