Giovanni Rosati
Eravamo pronti a commentare una sconfitta immeritata, ci siamo ritrovati con qualcosa di molto più simile ad un’impresa. Perché quando al 92’ lo stesso uomo che aveva portato l’Inter in Champions all’ultima giornata dello scorso campionato ha siglato ancora di testa la rete del 2-1, nessuno è riuscito più a contenere le proprie emozioni. Di sicuro non l’hanno fatto su Sky il commentatore della gara Trevisani né la sua seconda voce Adani, che da sempre innamorato di calcio e calciatori sudamericani è esploso: “La garra charrùa! L’ultima parola agli uruguagi! Hanno un cuore differente, l’artiglio che graffia e che lascia il segno nella storia dell’Inter. Questa è la storia che si ripete! Questo è l’Uruguay!”.
L’approccio nerazzurro – Se abbiamo pensato ad una sconfitta immeritata è perché effettivamente nella gara del ritorno in Champions dopo sei lunghi anni di assenza, l’Inter aveva mostrato di essere all’altezza di un avversario ben più quotato e si era mostrata completamente diversa – in meglio – rispetto a quella vista nelle prime quattro gare di Serie A.
Già dalla prima frazione l’intenzione di non giocare una partita da sparring-partner era evidente. La squadra sapeva quando e come pressare alto andando a coprire le linee di passaggio e mettendo in difficoltà la retroguardia avversaria, Handanovic non mostrava alcuna intenzione di spazzare il pallone quando transitava dalle sue parti e anzi si prendeva – fruttuosamente – la licenza di rischiare passaggi rasoterra a trovare direttamente il creatore del gioco nerazzurro: Brozovic. Dal canto suo il croato è parso il fratello di quello visto sinora in campionato, proponendosi e dettando i ritmi di un gioco che finalmente l’Inter è parsa aver trovato dopo settimane di abulia. Politano è stato frizzante, Skriniar schierato nell’insolito ruolo di terzino destro si è impegnato proficuamente a partecipare anche alla fase di possesso (incluso un dribbling nel primo tempo con cui ha saltato tra lo stupore e l’eccitamento dei propri sostenitori un avversario salvo poi sfornare un cross imperfetto). Uniche pecche il non-coinvolgimento dei pezzi grossi Perisic e soprattutto Icardi, sul quale era incominciata a pendere la ghigliottina dell’insufficienza in pagella all’esordio assoluto nella massima competizione per club europei.
Cambio d’inerzia – Cinque alla fine, Inter sotto per via della rete di Eriksen ad inizio ripresa. Dalla sinistra Asamoah mette in mezzo, ma la palla si dirige all’esterno dell’area di rigore. Ad attenderla, come per casualità, c’è proprio il rapace d’area: quello che non partecipa alla manovra, che concretizza il lavoro altrui a due passi dalla linea del gol, quello che si era pronti a bocciare all’esordio. Coordinazione perfetta e tiro ad incrociare che si infrange in rete riportando il pari. “Incredibile come l’inerzia di una partita possa cambiare in questo modo” dice Adani qualche minuto dopo dipingendo quello che era il nuovo quadro della gara: Inter tutta in avanti per cercare la vittoria quando solo qualche minuto prima si era sotto nel punteggio. Pochettino toglie il centravanti della sua squadra e inserisce un esterno difensivo: è una mossa che odora di paura, e l’Inter si fa squalo.
L’uomo della Champions – “Guarda chi sta salendo…ti ricorda qualcosa?” chiede sempre Adani al suo partner in commento vedendo Vecino entrare in area per sfruttare un calcio d’angolo da cui non arriverà niente. Ma poi, nel secondo minuto di recupero, De Vrij fa da sponda su un altro corner e Trevisani non si contiene: “L’ha presa, l’ha RI-presa Vecino! Non è possibile, è l’uomo della Champions!”. L’Inter batte all’ultimo secondo una squadra migliore sulla carta, chiude nel migliore dei modi il climax di emozioni costruito durante i novanta minuti, torna in Champions dopo sei anni con una vittoria e dimostra di non esser lì solo per partecipare nonostante abbia un girone davvero complicato. E non serve essere interisti per gioirne.