Matteo Quaglini
Sono venuti da lontano per allargare le loro conquiste. Entrambi hanno viaggiato verso Occidente, fin verso il cuore meridionale dell’Europa. Fino ad arrivare in Italia. Uno proveniente dalla vicina Spagna terra di flamenco, di tortillas, di lotte nazionali tra Castiglia e Catalogna eredi degli scontri feudali tra Castigliani e Aragonesi del ‘500. L’altro è arrivato dalla lontana madre Russia continente che include le mura dell’algida Kazan. Uno portoghese novello Vasco Da Gama, l’altro cubano naturalizzato polacco capace di continuare la dinastia dei grandi giocatori caraibici in Italia, i fratelli Hernandez.
Uno si chiama Cristiano che nell’Europa nata, dopo le ceneri dell’Impero Romano, sulle fondamenta del Cristianesimo è sempre un nome evocativo di ardimentosi missionari del loro sapere, l’altro fa Wilfredo che evoca glaciali ricordi pensando al fare guerresco dei vichinghi del Nord. Entrambi sono venuti in Italia a continuar la loro strada lastricata da vittorie. Uno gioca a calcio in maniera possente ed è l’unico dei calciatori contemporanei a muoversi sotto pseudonimo, Cr7.
Un acronimo che può significare infinite combinazioni: C come cuore, come coraggio, come conquista, R come romanzo, come rotta (quella da tracciare e non da seguire) come reale intendendo il portamento, come rango visto che più nobili e aristocratici di lui non ce ne. E poi il 7 il numero dei magnifici citando una pellicola cult del cinema western, il numero caro ai caldei, il numero delle ali destre fantasiose e intrise di calcio solitario e per questo geniale, il numero semiotico dei segni ancestrali. Uno è così, statuario come il re Serse di 300 e manicheo come i personaggi che hanno dentro se stessi la propria nazione.
L’altro è virulento come il portoghese, ma più truce ancora nello sguardo e nelle movenze da gioco. Wilfredo Leon dopo quattro coppe dei campioni a Kazan è venuto a Perugia, la città campione d’Italia nella pallavolo nostrana. E’ arrivato e ha, fin da subito, messo radici profonde e distintive. Lui il cubano freddo ha preso il pallone e ha cominciato a scagliarlo contro gli avversari, annullandone le ricezioni e le difese. Non è lo pseudonimo di se stesso, non muove aziende dietro di se, non ha un fare glamour, e non è nemmeno un James Bond con licenza di fare gol acrobatici e incredibili come Cristiano Ronaldo, però come Cristiano è un campionissimo che decide.
Due aggressivi del gioco, così diversi e così uguali. Diversi perché uno è Barocco e l’altro lineare. Uno è divo e l’altro schivo. Uno è l’incarnazione della squadra e l’altro è il giocatore che la completa con la sua individualità caraibica. Uno è Muhammad Alì e l’altro Joe Frazier. Uno è i Rolling Stones e l’altro i Led Zeppelin, anche se ambedue sono rock’n roll puro. Ecco, sulle note della musica che Elvis Presley ha lanciato in tutto il mondo, il punto d’incontro tra i due campioni: l’uguaglianza, le similitudini.
Cristiano e Wilfredo sono entrambi cannibaleschi come Eddie Merckx, bionici ed esecutori nel tiro come Bjorg Borg, cinici nella forza delle loro idee come Helenio Herrera, dogmatici nella fede in loro stessi come i teologi orientali del mondo antico, verticali e inflessibili come gli Hidalgos delle terre iberiche, robotici come alcuni personaggi dei film di fantascienza. Tante similitudini, tante diversità per esprimere lo stesso concetto: sono campioni del nostro tempo.
Tutti e due hanno lasciato porti sicuri in cui erano vincenti e coronati dall’alloro delle vittorie, per inseguire nuovi successi, per aumentare la loro gloria più che le loro remunerazioni. Cristiano ha lasciato, dopo dieci anni, Madrid e il magno Real. Era diventato l’erede di Di Stefano per stessa incoronazione ricevuto dal sommo Don Alfredo, l’imperatore blanco che elesse il suo successore per eredità divina, come ai tempi dell’Impero di Roma. Dietro di se ha messo da parte i ricordi delle tante vittorie madridiste: 4 coppe dei campioni, tre coppe del mondo, due campionati spagnoli, due super coppe e coppe di Spagna, due super coppe europee, più i nove titoli inglesi, i due portoghesi tra nazionale e Sporting Lisbona e i cinque palloni d’oro. Tutto alle spalle per essere concentrato solo sulla nuova avventura juventina.
In Italia sta giocando da capo carismatico e uomo squadra non dimenticando però che lui è anche, se non soprattutto, l’uomo in più. Dopo 14 giornate guida la classifica marcatori con 10 gol, 7 dei quali decisivi per fare punti. Il dazio del noviziato l’ha pagato anche lui con le prime tre partite segna segnare e l’espulsione della serata di coppa a Valencia, ma è stato più forte di tutto glaciale e perentorio nell’aprirsi una strada in quello che rimane il campionato, non più bello, ma sicuramente più difficile del mondo.
La super lega di pallavolo, invece, si che è il campionato più bello del mondo. E Perugia, campione in carica, ha aggiunto nel suo roster il Ronaldo del volley, Leon appunto. Dieci partite, 200 punti in 35 set giocati, terzo marcatore del campionato dopo Hernandez di Siena e Al Hachdadi di Vibo Valentia che hanno giocato però rispettivamente 8 e 5 set in più. Terrore degli avversari dalla linea di battuta dove tira a tutto braccio come Roberto Carlos e Koeman tiravano le punizioni. Anche in questo è uguale a Ronaldo.
Cercano e giocano per nuove vittorie, scudetto e Champions per la Juventus e la Sir Perugia. Le squadre che li hanno chiamati a condurle, eleggendoli uno ad Alessandro Magno e l’altro a Gengis Khan.