Special? Once

Posted By on Dic 24, 2018 | 0 comments


di Andrea Tocchio

 

O lo ami o lo odi, ma non puoi essergli indifferente. E, infatti, sono 17 anni che nessuno può ignorarlo.

In questi giorni sono stati spesi fiumi di inchiostro e digitati caratteri ininterrottamente per il signor Josè Mario Dos Santos Mourinho Felix, perché un suo esonero ha sempre una cassa di risonanza mediatica immensa. Sì, esonero, perché in data 18 Dicembre 2018 i cancelli del Trafford Training Centre si sono chiusi alle sue spalle definitivamente. Un addio nell’aria da tempo, la storia d’amore con i Red Devils era logora.

Non che il Mago di Setùbal non ci abbia guadagnato dal divorzio (si vocifera di una buonuscita di 30 milioni), ma ad uno come lui la lontananza dai campi da gioco fa salire la febbre. E non solo quella, credo. D’altronde paga un inizio di stagione non proprio esaltante (soprattutto in Premier, dove lo United si ritrova sesto, ad otto lunghezze dal quarto posto), un mercato gestito da lui, che non ha maturato i frutti sperati, ma, in particolar modo, un rapporto non idilliaco con lo spogliatoio.

Eccoci arrivati al punto focale: il feeling con la sua “equipe di lavoro” è sempre stato un cardine nel modo di allenare di Josè. I suoi detrattori lo hanno spesso criticato da un punto di vista tecnico-tattico, poiché le sue formazioni non hanno mai espresso un gioco brioso e spumeggiante, al contrario di altre ( vedansi il Barcellona e l’Arsenal degli odiati Guardiola e Wenger, ad esempio), ma è sempre stato riconosciuto che il suo carisma e le sue doti da fine “psicologo” gli abbiano sempre consentito di allestire gruppi tanto compatti quanto vincenti.

Quindi suona strano sapere di uomini che gioiscono e si danno il cinque per il suo allontanamento, quando in altri contesti ed altri momenti storici si vedeva sofferenza e disagio per una sua partenza inaspettata. Da qui una domanda più che lecita: ha perso lo smalto di un tempo nell’approccio a mente e cuore dei suoi giocatori o più semplicemente era scarso il “materiale” umano a sua disposizione?

Se giudichiamo in maniera logica, ripercorrendo la sua carriera, i risultati più eclatanti li ha ottenuti dove è riuscito a fondersi perfettamente con l’ambiente che lo circondava. Il suo impareggiabile egocentrismo diventava un eccellente scudo per trascinare su di sé l’attenzione e preservare in questo modo il suo “esercito”. Sì, esercito, perché c’era gente che avrebbe combattuto una guerra per lui. Questo processo diventava forse più semplice grazie alla presenza di leader carismatici in campo e fuori? Probabile. Se penso al suo Porto, rivedo nella mia mente la grinta di Vitor Baìa, Costinha e Ricardo Carvalho, solo per citarne tre. Se penso all’ Inter del Triplete, ricordo la cattiveria agonistica e lo spirito combattivo di Motta, Samuel, Milito. Gente pronta a dannarsi l’anima per Zé Mou.

Empaticamente e da osservatore esterno, tutto questo non l’ho mai captato nei rossi dello United. L’unico parallelismo adatto mi sembra quello con il suo Real Madrid, dove finì per farsi terra bruciata intorno, come del resto ha fatto a Manchester. Pur avendo a disposizione un tasso qualitativo elevatissimo, in queste sue due avventure non ha raccolto quanto preventivato ed auspicato. Sebbene abbia ottenuto buoni successi ( incredibili quanto inattesi nel primo anno coi Red Devils), non ha mai instaurato col suo team un legame forte e profondo. Contrariamente a quanto avvenuto in passato, quelli che dovevano essere i suoi alfieri, sono divenuti col tempo i suoi primi oppositori. Una frattura insanabile, insomma. O con me o contro di me, come recita il detto. E, a quel punto, qualcuno dentro quello spogliatoio avrà pensato: “Special? Once.”.

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