Caso Hegerberg: il sessismo é social …

Posted By on Dic 24, 2018 | 0 comments


Giandomenico Tiseo

Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche“. No, non siamo in preda a convulsioni sessiste ma questa frase fu pronunciata circa tre anni fa dall’ex presidente della Lega Nazionale Dilettanti Felice Belloli nel corso di una riunione federale ufficiale. Di acqua ne è passata sotto i ponti e il calcio femminile in Italia, pur con lentezza, qualche passo avanti lo sta facendo: l’affiliazione tra club maschili e femminili, la maggiore visibilità data dalle trasmissioni in diretta delle partite del campionato di Serie A da parte di Sky Sport e la qualificazione al Mondiale 2019 in Francia della Nazionale italiana di Milena Bertolini rappresentano dei punti a favore della causa.

C’è però ancora molto da fare perché alcuni pregiudizi, come si suol dire, sono duri a morire. Non bisogna trasformarsi in Albert Einstein e sviluppare la nuova teoria della relatività per comprendere che dal punto di vista culturale siamo ancora piuttosto indietro rispetto ad altre realtà. Il non aver affrontato il tema della legge 91 del 23 maggio 1981  all’articolo 2  non è affatto positivo (“Sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal Coni per la distinzioni dell’attività dilettantistica da quella professionistica“). Nel caso specifico spetterebbe al Coni in collaborazione con le Federazioni Sportive stabilire se una determinata disciplina sia professionstica o meno. A 38 anni dall’entrata in vigore però non si è ancora posto un punto. Il calcio rientrerebbe in quelle specialità d’élite ma solo per gli uomini. La motivazione? Lo sport femminile non assicura una quantità di introiti adeguata. E così siamo ancora fermi al palo.

Questioni economiche che però derivano da problematiche culturali, come detto. Considerare il “Pallone” solo di un sesso è un pensiero fortemente radicato nella società nostrana e se il numero di praticanti (donne) in Italia è di gran lunga inferiore a Germania e Francia questo lo si deve ad un’impostazione di base carente. Questo lo si evince dalle argomentazioni di appassionati di calcio e di sport nel Bel Paese rispetto a temi d’attualità del calcio femminile.

E’ emblematico infatti quanto è accaduto nelle ultime settimane rispetto al caso della premiazione del Pallone d’Oro a Parigi che per la prima volta ha visto un riconoscimento per una giocatrice. La protagonista era la norvegese Ada Hegerberg del Lione. La scandinava, eccezionale nel corso della stagione passata con le sue 31 reti messe a segno in 20 partite, non è balzata agli onori delle cronache per le sue doti tecniche ma bensì per altro. Martin Solveig, il deejay presentatore della cerimonia, è incappato in una gaffe, ponendo la seguente domanda alla calciatrice: “Sai twerkare?” (intendendo un ballo provocante con movenze sessualmente esplicite). La reazione della Hegerberg è stato un secco: “No“. Le scuse sono arrivate posteriormente ma la domanda (retorica) è: “Sarebbe mai venuto in mente di porre un quesito del genere, anche per scherzo, a Modric ed a Mbappé?”

Ecco che i commenti social rispetto a questo episodio sono stati i seguenti: “Io le avrei assegnato il trofeo della Patata d’Oro“; “Cerca di tirare acqua al suo mulino a scapito della pelle di un altro. Peccato che il calcio femminile non se lo filerà mai nessuno: livello terza categoria e le patate scarseggiano, meglio impiegare il proprio tempo sulla wierer o la giorgi”; “Giustamente cavalca l’onda della notorietà, non le avessero fatto quella battuta, sarebbe rimasta sconosciuta ai più”. Una selezione d’alta qualità, bisogna ammetterlo, che rappresenta uno spaccato decadente. La riflessione scontata è che prima di parlare di professionismo è necessario intervenire sulla mentalità. La visione di una donna in vetrina purtroppo è ancora insito nel nostro modo di concepire la realtà e i media ed i social media non aiutano. La copertina del libro più bella del contenuto effettivo è un assioma dalle ripercussioni devastanti. Il “Pallone” potrebbe essere strumento di aggregazione ma ci si ferma in superficie tra sorrisi e battutine. No, decisamente non ci siamo.  

Submit a Comment