Matteo Quaglini Una frase accomuna il Liverpool e la Lube Civitanova: “Solo chi sa soffrire alla fine vincerà”. Il Mahatma Gandhi la pronunciò per cose ben più importanti che una partita di football o una finale di Champions League. C’era di mezzo l’indipendenza di un popolo, l’affermazione dei suoi diritti politici, culturali e sociali, la dignità di costruire la propria vita e i propri valori sociali senza l’alterigia di regole sociali imposte dagli inglesi.
Però come da filosofia orientale dalle parole di un maestro bisogna prendere il senso e riadattarle alla vita di tutti i giorni, anche a quella sportiva. Allora si che l’idea gandiana prende forma anche per il Liverpool e la Lube che hanno saputo soffrire e far tesoro delle sconfitte precedenti, hanno resistito e alla fine hanno vinto con merito. Entrambe campioni d’Europa.
Battendo il Tottenham e lo Zenit Kazan hanno scacciato gli “inglesi” dal territorio dei loro sogni, conquistando l’indipendenza di Anfield e del PalaCivitanova Indie riconquistate dall’invasore chiamato sconfitta.
Tanto il Liverpool quanto la Lube venivano da brucianti delusioni. Le giubbe rosse di sua maestà avevano perso la finale della Champions 2018 contro il Real Madrid, l’infortunio di Salah nello scontro con l’Hidalgo Sergio Ramos, gli errori di Karius, la rovesciata di Gareth Bale, troppe contingenze negative, troppi ostacoli insormontabili per vincere.
Un po’ la stessa situazione della Lube Civitanova ancorata al 7 il numero tanto caro ai caldei divenuto simbolo delle sconfitte consecutive. Nel 2018 i cucinieri sono stati battuti in coppa del mondo, due volte in coppa Italia, nella super coppa italiana, in finale scudetto e ancora in un mondiale e nella Champions dallo Zenit, il Real Madrid della pallavolo.
Belli, ma perdenti. Questa è stata fino a due mesi fa l’etichetta sportiva che ha accompagnato le gesta delle squadre di Klopp e De Giorgi. Belli e perdenti, fino alla svolta nell’anno del signore 2019.
L’anno nel quale hanno saputo ribaltare gli eventi e soffrendo hanno vinto. Il Liverpool ha vinto la sua sesta coppa dei campioni riportando in alto la bandiera del suo intramontabile inno You’ll Never Walk Alone, la Lube è tornata campione d’Europa otto anni dopo battendo gli orsi russi dello Zenit Kazan, l’armata rossa della contemporaneità.
Diverse, nel girone di qualificazione, sono state le difficoltà. I Reds hanno perso 3 partite su 6 sono caduti a Napoli e a Belgrado sotto i colpi di una Stella Rossa povera, ma per una sera ancora grande. Dopo la sconfitta di Parigi la squadra di Klopp si è affidata al mantra della sua grande storia: la Kop, il colore rosso che nel cinema significa cambiamento, la canzone dell’anima e il suo gioco d’assalto.
Il gol di Salah, Lawrence d’Arabia dei suoi, e una magistrale parata di Alisson garantirono il successo sul Napoli e una nuova speranza. Li ricominciò la coppa del Liverpool, una coppa che invece andava a vele spiegate per Civitanova: 6 partite e 6 vittorie contro il Modena di Velasco, i cechi del Karlovarsko e i polacchi dello Zaksa di Andrea Gardini. Tante vittorie, ma anche un cambio bruciante: quello dell’allenatore.
Il Liverpool nonostante le sconfitte (anche degli anni precedenti) nella burrasca ha confermato il suo nocchiero tedesco, Civitanova invece dopo la sconfitta al mondiale ha salutato Medei e richiamato il capitano di ventura di antiche navigazioni vittoriose, Ferdinado De Giorgi. Uno della generazione dei fenomeni, tre volte campione del mondo.
E Fefé è stato come Francis Drake, un corsaro alla testa di un gruppo che ha ritrovato se stesso, perfezionando il suo gioco, trovando finalmente una organizzazione efficiente. Un’idea di gioco verticale come quella del grande Liverpool. Il percorso, una volta usciti dall’angolo dell’insicurezza in cui le sconfitte avevano messo le due compagini, è stato lo stesso: sicuro e capace di ribaltare le difficoltà. E sono arrivate le vittorie tanto attese.
Agli ottavi la classica con il Bayern Monaco è stata vinta in Baviera con i gli ex campioni del mondo stesi a terra dai colpi di Mané, ganci alla Muhammad Alì. Un 3-1 bissato in terra di Portogallo contro i dragoni del Porto sconfitti per 4-1 dopo il 2-0 dell’andata. Un rullo compressore il Liverpool di nuovo pieno della sua personalità tutta incentrata sull’attacco dell’avversario. Lo
stesso attacco che hanno cominciato a mettere in campo Juantorena, Leal e il bulgaro Sokolov da posto quattro, da due e dalla seconda linea. Ganci diretti alla Dinamo Mosca e ai polacchi dello Skra Belechatow, battuti quattro volte su quattro perdendo solo due set.
L’idea dell’impresa si avvicinava sempre più, ma prima del trionfo bisogna confrontarsi con le proprie paure e vincerle: come Leonida da bambino che nella Sparta guerriera affronta il lupo. Un uno contro uno che decide il destino di entrambi.
E il lupo del Liverpool si chiamava Barcellona, i favoriti della coppa 2019. Quando i ragazzi di Klopp cadono nel Camp Nou, simbolo dell’indipendenza catalana tanto è grande e pieno di se, sembra ancora una volta finita, chi può rimontare un 3-0 a sua maestà Messi? Il Liverpool sembra come Civitanova delle sette finali, perdente.
Al ritorno nell’Anfield gremito da un pubblico che canta la sua storia la serata è di quelle in cui il cuore batte forte e la rimonta la senti nei piedi, nella testa, nell’anima. Di fronte a un Barcellona schierato a serata di gala con tutti i suoi hidalgos, la Red Army prende il ritmo e azione dopo azione, passaggio su passaggio, chiude all’angolo il re argentino e la sua corte. Non è più una squadra di calcio, ma una locomotiva che corre veloce verso la vittoria.
Il 4-0 fa storia ed enciclopedia calcistica, il Liverpool è in finale perché ha vinto il suo lupo e il Tottenham pur grande non può opporsi: le giubbe rosse sono sul tetto d’Europa per la gioia dei padri della patria, Bill Shankly e Bob Paisley.
Il lupo di Civitanova viene dalla Russia, è grosso e possente, freddo e glaciale, come il grande squalo bianco non ha emozioni ti assalta per divorarti. Il primo set della finale di Berlino è tutto a favore dei russi che attaccano Civitanova come i cosacchi attaccarono la retroguardia napoleonica nella ritirata della Gran Armeè sulla Beresina. Likhosherrskhov mura Sokolov proprio lui che del muro è il re, Mikhaylov e Matt Anderson colpiscono forte da quattro e mounsier Ngapeth trova i colpi degli Zidane e dei Platini, francesi come lui quindi eleganti ed efficaci.
Civitanova però c’è, la squadra esce dall’angolo e infilza il lupo ferendolo a morte. Nel secondo set vengono fuori i centrali Simon e Stankovic invalicabili come Fabinho, Henderson e Wijnaldum. Nel terzo Juantorena e Leal attaccano come Mané e Salah, nel quarto Sokolov chiude i giochi ben servito dall’estro e dalla sapienza tattica del palleggiatore brasiliano Bruninho. I russi, come le stelle nei romanzi, stanno a guardare. Il grande orso bruno è battuto. De Giorgi è istrionico come Klopp, Civitanova gioca col 4-3-3 come e meglio del miglior Liverpool, Balaso il libero dei cucinieri è stato prezioso come Origi e Milner subentrati nella finale tutta inglese. Tutti hanno giocato per l’altro e nessun per se stesso: la formula delle grandi squadre.
Liverpool e Civitanova sono sul tetto dell’Europa, campioni nella vita e nello sport si diventa.