Di Matteo Quaglini
Nella lunga storia degli allenatori di Juventus e Modena c’è una figura poco battuta ma carica di suggestioni. La figura degli uomini per un giorno soli al comando. Si tratta di quegli allenatori che hanno guidato le due navi ammiraglie per pochissimo tempo. Un tempo però, a giudicare dalle loro storie, non vano.
La Juventus ne ha avuti dieci di questi fedelissimi pronti ad accorrere in aiuto dell’esercito ferito e privato, per un attimo, della sua bandiera. A Modena invece sono stati in quattro i soccorritori del grande orso ferito dai bracconieri chiamati rivali.
Ci sono stati ungheresi depositari di una scuola calcistica che imperava negli anni ’20 e ’30 come poi saranno gli olandesi, i brasiliani, gli italiani nei decenni successivi e gli spagnoli oggi. Ci sono stati ex giocatori che hanno tolto i pantaloncini del soldato per indossare la giacca dello stratega. Ci sono stati fedelissimi che hanno accettato la responsabilità di un risultato anche solo per una partita, pur di aiutare la causa.
Mentre la Juventus si è sempre affidata a qualcuno che già aveva partecipato alla sua storia, Modena ha chiamato a raccolta anche traghettatori che venivano da altre sponde, come Bologna e Montichiari città di un altro verbo pallavolistico.
Il tempo nella storia è importante, e nella storia delle squadre ancor di più. Il grande storico francese e medievale Jacques Le Goff ne ha raccontato l’incidenza nel suo “Il Tempo continuo della Storia”, che ben si adatta a questi uomini, a questi allenatori che nel tempo continuo di madame dello scudetto e della regina della palla in aria hanno contribuito a creare il grande romanzo di Juventus e Modena.
Il primo fra tutti fu Jozsef Viola che la volontà del regime politico italiano di allora volle ribattezzare Giuseppe. Una italianizzazione del nome necessaria all’ungherese per prendere la residenza e il passaporto e vivere, nella Torino degli anni ’20, la sua storia con la Juventus già industriale di Edoardo Agnelli.
Nato a Komaron città tesa tra Budapest e Bratislava, di ruolo centromediano, si sedette sulla panchina della Juventus all’indomani di una circostanza tragica. Nel 1923 Edoardo Agnelli volle dare una svolta rivoluzionaria alla Juventus ingaggiando un allenatore professionista, Jeno Karoly. L’ungherese che somigliava a D’Annunzio trovò la sua Fiume nell’idea ardimentosa di impostare una Juventus non solo vincente, ma capace da lì in poi di sostituirsi al Grande Genoa il club più antico e vincente nell’Italia del giovane pallone.
Il cammino durò tre anni e sembrò completarsi nel luglio del 1926 quando la Juventus arrivò a giocare la finale del girone di Lega Nord del campionato contro il Bologna altra depositaria di una grande cattedrale calcistica che di li a poco mieterà grandi successi. Lì nel momento della verità, nell’attimo in cui raccogliere i frutti di tre anni di lavoro intenso pochi giorni prima della grande finale Jeno Karoly morì stroncato da un infarto.
A raccogliere tre anni di duro impegno professionale fu proprio Jozsef, in arte Giuseppe, Viola che il 28 luglio del 1926 vinse la finale col Bologna che presto avrebbe fatto tremare il mondo, e conquistò poi il secondo scudetto juventino battendo l’Alba nella seconda finale, quella con i campioni della Lega Sud. La prima gemma nella collana di perle degli Agnelli venne firmata da un ungherese che allenerà in seguito anche il Milan, lo stesso Bologna e la Lazio con cui sfiorerà un altro scudetto nel 1937. Un campionato perduto per poco a causa di un derby finito a scozzottate western.
Il primo traghettatore di Modena fu Franco Bertoli che la cinematografia sportiva aveva, nei vent’anni da giocatore, ribattezzato mano di pietra. Perché, il friulano più conosciuto d’Italia insieme a Dino Zoff e Fabio Capello, quando giocava non schiacciava ma bombardava gli avversari. Un grandissimo da Hall Of Fame. Un giocatore alla Robert De Niro versione Noodles in C’era una volta l’America del grande Sergio Leone: poche parole e molti fatti con la sicurezza che il colpo risolutore sarà il suo, come nella roulette russa con i vietcong ne il “Cacciatore”.
Nel 1996 Franco Bertoli era dirigente di Modena e in panchina sedeva un grande allenatore Daniele Bagnoli, l’uomo della rinascita della squadra. Novembre mese plumbeo era però in agguato col suo destino. Una sera sulla via Emilia, Daniele Bagnoli finisce fuori strada con la sua macchina e si rompe tutte e due le gambe, stagione finita. Casa Modena chiama al comando l’ex numero 4 il Franco che come Baresi è un Kaiser in campo e nella vita. Comincia l’avventura della panchina, Bertoli capo allenatore in campo e Bagnoli analista della tattica fuori.
Il 12 novembre del 1996 diventa allenatore e porta, dopo aver superato le idi di marzo, Modena alla triplice vittoria: scudetto, coppa Italia e Coppa dei Campioni. E’ il più vincente tra tutti i quattordici uomini soli al comando di questa storia epica.
Il momento estatico fu la finale contro la Sisley Treviso, la grande rivali di quegli anni. Due navi ammiraglie protese all’uno contro uno nell’impervio mare di una delle finali più avvincenti della storia della pallavolo italiana. Franco Bertoli era l’ammiraglio che arrivava da Udine, sua città natale, e di fronte a lui c’era un coreano dal viso impassibile e dal cuore pieno d’emozioni e di sapere, Kim Ho Chul fuoriclasse inarrivabile del palleggio.
Due miti contro, in una lunga trasposizione sportiva sulle panchine delle loro battaglie da giocatori. Vinse in cinque gare Franco Bertoli con la classica tigna di chi non molla mai. Fu gara quattro a spiegare la tenacia dell’ex grande attaccante di Modena, sotto 2-1 nella serie e con Treviso che arrivò prima al 14° punto nel tie break chiunque avrebbe mollato e invece come disse Juan Carlos Cuminetti, grande opposto argentino, ciascuno di noi pensò come Bertoli avrebbe fatto: tre palloni vincenti e siamo a gara cinque. Un pensiero sull’unità di squadra alla Massimo Decimo Meridio quando intima ai gladiatori di restare uniti per rimanere vivi lottando come un sol uomo.
Kim Ho Chul molto ci rimase male nel suo flemmatico atteggiamento silenzioso pari alla compostezza che ha un samurai quando perde, anche se lui era ed è uno dei miti di Corea. Una vittoria mitica alla mano di pietra, a chi mena più forte e nel momento in cui serve.
Una vittoria che venne ribadita nella coppa nazionale contro Cuneo, un’altra grande squadra che ricordava la Samp di Mancini e Vialli, e in coppa campioni dove Modena sconfisse il Noliko Maaseik, l’Anderlecht della pallavolo.
Un ex grandissimo giocatore che vinse usando l’attimo che il tempo gli ha dato. Un ex giocatore Franco Bertoli come lo furono Carlo Bigatto I, Federico Munerati, Luis Monti e Luigi Bertolini allenatori ad interim della Juventus nel periodo storico che va dal dicembre del 1934 al 1949.
Carlo Bigatto I aveva giocato nella Juventus della fondazione esordendo il 12 ottobre del 1913 contro il Racing Libertas Milano, prima ala poi mediano, col suo cappello bianconero battagliava durante le partite alla maniera di un Furino ante litteram. Gli capitò di sostituire un mito della panchina juventina come Carlo Carcano l’uomo che aveva vinto quattro scudetti consecutivi, l’imperator che aveva costruito la prima egemonia del calcio italiano. La Juventus lo esonerò per via di voci maliziose sulla sua vita privata, e Carlo Bigatto I come quei re ( per via della suggestione del numero romano ) che succedono ai padri ancora viventi ma confinati nel regno, prese in mano la Juventus e completò dopo 234 e 1 gol da giocatore, da allenatore il quinquennio d’oro di madame.
Di Franco Bertoli Luis Monti il mito argentino nato a Buenos Aires e diventato campione del mondo con l’Italia di Vittorio Pozzo, aveva in comune quando arrivò sulla panchina della Juventus: il temperamento dei vincenti, la tenacia e una vittoria quella nella coppa Italia 1942.
Erano due squadre diverse il Modena del 1996 e la Juventus del ’41-’42, non solo per il contesto storico completamente diverso, ma per la qualità. Quella era una grande Modena già campione, l’altra una Juventus in crisi che per quindici lunghi anni venne esiliata dalle altre forze del campionato dallo scudetto, così come gli inglesi esiliarono dallo scenario europeo Napoleone a Sant’Elena.
Per questo la risposta alla chiamata alle armi di questi simboli divenuti allenatori per poco tempo è un racconto epico. Perché il loro contributo più grande è stato riavviare la macchina che si era ingolfata sulla strada sterrata e grigia della crisi. E’ stato il caso di Maurizio Menarini e di Luigi Bertolini e Tebaldo Depetrini.
Nel 2002 Modena ha vinto lo scudetto ma come spesso accade l’anno dopo i campioni sono già in crisi di identità, ne fa le spese Angelo Lorenzetti uno dei tecnici più preparati della nostra pallavolo. Lo sostituisce Maurizio Menarini di Bologna, storico secondo allenatore della squadra bolognese dal 1983 al 1990 e poi primo allenatore di Ferrara dal 1991 al 1998. Da avversario nell’Emilia Stato territoriale della pallavolo d’elité aveva tolto uno scudetto a Modena nel 1985 inducendo Panini a varare la contro riforma con Julio Velasco. Da allenatore ridà a Modena una vittoria europea in coppa Cev contro Piacenza.
Il grande secondo traghettò bene il bastione in difficoltà, come fece Luigi Bertolini uno della famosa scuola alessandrina degli anni ’30 che la Juventus comprò per 180.000 lire e che fu con Monti e Varglien il maniscalco della mediana juventina. Tornò da allenatore per 10 partite nel 1951 dopo che Jesse Carver se ne era andato. Insieme a Gianpiero Combi preparò in quelle gare l’arrivo di Giorgio Sarosi fuoriclasse ungherese vice campione del mondo a Parigi ’38 e campione d’Italia con al Juventus nel 1952, grazie anche all’aiuto del Berto.
La storia di Tebaldo Depetrini è diversa. Scuola Pro Vercelli di Silvio Piola, giocatore della Juventus dal ’33 al ’49 con 388 partite e 10 gol, dodici volte nazionale e grande avversario nei primi anni di “Mumo” Orsi, il Cristiano Ronaldo dell’epoca. Prese la Juventus in due circostanze, nel 1957 sostituendo Sandro Puppo e nella stagione 1958-59 sostituendo Ljubisa Brocic, qui col buon senso pratico del vercellese vero portò fuori dalle secche la Juventus di Sivori, Charles e Giampiero Boniperti che così lo ricorda: “ Depetrini era straordinario, aveva un temperamento da autentico vercellese. Uno dei più grandi mediani di marcatura che siano mai apparsi nell’universo del pallone”. E da grande mediano si era comportato anche da allenatore aiutando i suoi talentuosi compagni a uscire dalla crisi.
Il Depetrini di Modena avrebbe potuto essere Emanuele Zanini ex promessa del calcio nelle giovanili del Milan, iniziò ad allenare a 24 anni poi divenne secondo di Andrea Anastasi. E un altro Andrea fu chiamato a sostituire, Andrea Giani. Il 16 dicembre del 2008 ci fu il cambio, ma forse Zanini non aveva alan della bandiera e Modena arrivò al 10° posto, fuori per la terza volta nella storia dai play-off.
Oggi Zanini è un allenatore navigato con esperienze in Francia, Turchia e Polonia, a Modena è stato di passaggio come lo fu per Korestelev e Giancarlo Corradini. Il primo cecoslovacco si era diplomato tra i migliori a Coverciano del suo corso, era stato un mito nel Parma che aveva portato da giocatore dalla serie C alla B nel 1954. Allenò la Juventus per due partite, tra l’abbandono di Gunner Gren e l’arrivo di Carlo Parola, a Padova il 3 settembre ’61 arrivò la sconfitta ma lui rimase vicino al grande Carlo, a correre da assistente per la sua Juventus come faceva quando era un’ala.
Corradini dopo un periodo di nove anni tra giovanili, preparatore e vice allenatore, il 29 maggio 2007 allenò la Juventus per due partite in serie B al posto del dimissionario Didier Deschamps che si era piccato come tutti i francesi quando non riconosci la loro “grandeur”. Entrambi hanno toccato poco la panchina come Lorenzo Tubertini oggi allenatore della Top Volley Latina e già grande secondo a Modena di Lorenzetti e Velasco, un Galbiati o un Narciso Pezzotti della pallavolo.
Alla fine un’immagine che forse racchiude tutta questa storia di personaggi epici: Eraldo Monzeglio sostituì, dopo quattro partite, l’allenatore brasiliano Paulo Amaral. Mentre Ercole Rabitti si sedette sulla panchina della Juventus il 16 dicembre 1969 al posto di Luis Carniglia, pareggiando a Cagliari e rilanciando la squadra. Modena non ha mai esonerato Radostin Stoychev e Bernardinho due grandissimi che non ebbero fortuna e allenarono male come Amaral e Carniglia. Anche questo è il romanzo degli uomini soli al comando per un giorno, in una scelta diversa c’è la loro posizione nella storia di Juventus e Modena.