Gli allenatori poeti

Posted By on Dic 3, 2020 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

Questa è una storia di allenatori e di poeti brasiliani. Il racconto di due universi paralleli dipinti e musicati da due grandi del football e della pallavolo “verdeoro”, Paulo Roberto De Freitas in arte Bebeto e Tele Santana l’uomo che pensò e costruì il magico e ingenuo, a partire dalla sua sicumera tecnica, Brasile del 1982. Quel Brasile nell’immaginario collettivo della torcida è sempre stato sull’altare della grandezza vicinissimo a quello magno di Pelè di Messico ’70. Eppure l’idea visionaria di Tele Santana non riuscì a vincere il mundial spagnolo e a battere l’Italia fino ad allora piccola anche se già dentro il suo personale risorgimento dal tratto argentino. A volte però non è la vittoria, segno volgare del nostro tempo per dirla con Gassman, il momento che sancisce la grandezza di una squadra. In un gruppo di uomini è l’idea stessa di giocare un calcio tecnico e ritmico, che contempli tutti assieme i migliori, a lasciare il segno indelebile della suggestione.
La stessa capacità di sviluppare l’attacco combinando gioco, gesti tecnici e triangolazioni, che mise in mostra dal 1990 al 1993 la Maxicono Parma di Bebeto, una squadra brasiliana innestata nel campionato italiano allora campione del mondo. Il massimo dello scontro ideologico e della lotta tra stili opposti, per vincere: la pallavolo universale dei brasiliani contro la specializzazione degli americani, sublimata dal Messaggero Ravenna costruito in stile “Born in the Usa” di Springsteen, da Karch Kiraly e Steve Timmons, i pretoriani di Doug Beal.

Vinse alla fine di questo scontro titanico alla “Blade Runner” Bebeto che batté Milano, Treviso, Ravenna con la sua pallavolo fatta di combinazioni avanti e di schiacciate superbe da seconda linea, di muri “toccati” e invadenti a chiudere la strada agli attaccanti avversari come faceva la migliore Urss di Savin. Tutti dietro, secondi, a quelli che dicevano “giocano alla brasiliana”. Così Blangè era Socrates non solo per la stessa statura oltre il metro e novanta, ma perché univa come il “Dottore” la capacità di esercitare la regia e di portare idee altre, olandesi per Peter corintiane per il capitano del Brasile. E ancora, Giani con la sua grandissima potenza e le schiacciate nei tre metri era Eder pronto alla rincorsa per esplodere il sinistro ereditato da Rivelino; Carlao era Toninho Cerezo entrambi così grandemente campioni da giocare per la squadra nel segno del sacrificio; Renan era Falcao perché costruiva come il “Divino” e finalizzava dopo un gioco a tutto campo.

Erano i cavalieri della tavola rotonda dei loro Re Artù, Bebeto e Tele Santana gli ideatori, i pensatori, i filosofi e i poeti che raccontavano, con il loro gioco fondato sulla tecnica e sull’immaginazione, sulla pulizia del passaggio o sulla palla veloce in banda, l’attacco da tutte le zone del campo, il muro invadente e invalicabile, il Brasile dei loro tempi quello del sogno di vincere mettendo tutti i colori della vita e dello sport in campo. Quelli scuri della sofferenza, quelli chiari della limpidezza delle linee di gioco, quelli sfumati a dire che ogni idea è possibile da realizzare.

Quegli anni sono durati poco forse troppo poco perché c’è stato il ritorno degli ortodossi che da Nord e da Oriente hanno ripreso il comando delle operazioni. Dal calcio olandese e specializzato del Milan di Sacchi  e di quello impenetrabile degli invincibili di Capello, alla pallavolo dal gioco monocorde russo in banda dove l’obiettivo è mettere la palla a terra nel minor tempo possibile. Il tempo delle combinazioni, dei cinque attaccanti che possono schiacciare tutti insieme, dello scambio dei ruoli è finito, è rimasta di quella concezione poetica di Bebeto solo la forza e la “botta” sulla palla.

Così com’è cambiato il nuovo Brasile votato all’equilibrio dei mediani alla Casemiro, più che alle piroette alla Zico, l’arcangelo della Rio che tifa Flamengo. E’ il calcio di oggi fatto di pensatori più algidi di quelli di ieri e interpretano con fretta, dove il tempo è vissuto non come gli antichi del tempo di Alessandro Magno o di Cesare che lo comprendevano nelle varie stagioni della vita, ma a tutta velocità.

Bebeto e Tele Santana hanno organizzato le loro squadre, Parma e il Brasile o il Sao Paulo, con questa filosofia della costruzione di passo in passo. Le loro partite manifesto ce li hanno raccontati così, come due musicisti che provano l’accordo cento volte fino a trovarlo: per paradosso la grandezza di Tele Santana è più dentro a Italia-Brasile o a Francia-Brasile dell’86, puro sogno. Due sconfitte. Lì c’era l’idea portata all’eccesso, mentre nella vittoria del suo Sao Paulo contro il Barcellona nella coppa intercontinentale del ’92 c’era più metodo che bagliore.

Bebeto è stato diverso, perché si è sublimato vincendo non solo sognando. Quando batté il Milan di Doug Beal o quando vinse il mondiale battendo la Jugoslavia che ci aveva maltrattato nel girone, si vide compiuta la sua idea di una pallavolo veloce, ricca di schemi, sfrontata. Era l’altra anima dei brasiliani legati alla storia di Vicente Feola e del primo Brasile di Pelè capace di vincere fuori continente, che veniva fuori e si compiva.

In questo gioco a incastri c’è tutto il Brasile della mescolanza raccontato da questi due suoi suggestivi cantori. Oggi che Paulo Roberto De Freitas e Tele Santana allenano nel cielo del dio pallone e in quello degli dei della pallavolo, il Brasile seppur diverso sta ritrovando i vecchi tratti del loro insegnamento. Nel calcio ha di nuovo un dieci Neymar e un nove Gabriel Jesus, nella pallavolo ha vinto negli ultimi quindici anni come nessuno prima con Ze Roberto, Bernardinho e Renan poi, tutti allievi di Bebeto. Paulo Roberto De Freitas  e Tele Santana sono stati dei musicisti dello sport, quelli che hanno cantato a loro modo Acquarella Do Brasil, alla Toquinho.

 

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