di Gianluca Guarnieri
Nella vita, si sa, le occasioni bisogna coglierle al volo. Carpe diem. Così fece Pietro Anastasi detto “Petruzzu”, quando l’occasione gli si presentò dinnanzi, sotto forma di sfera di cuoio.
10 giugno del 1968, il giovane Pietro scese in campo per la seconda volta, con indosso la maglia azzurra della nazionale del “Bel Paese”, nella finale bis del Campionato Europeo ’68, contro la Jugoslavia. Due giorni prima, Domenghini aveva ripreso per i capelli, una partita già persa, con una provvidenziale randellata su punizione. Le cose si misero subito per il verso giusto, grazie al solito, insuperabile Luigino Riva, con una sventola di sinistro delle sue (gol che tranquillizzò sia i tifosi dell’Olimpico che quelli incollati ai teleschermi di Mamma Rai). Fu però il “bassotto” catanese a lasciare il segno indelebile, sia nella gara che nella storia del calcio italico. Correva il 31’ ed il centravanti siculo, ricevuta la palla da De Sisti, scagliò un’autentica folgore, che si insaccò alla destra del portiere Pantelic, inutilmente proteso in volo. Era il 2-0. Bye, bye adriatici. La Coppa Europa venne consegnata a Giacinto Facchetti, il quale la sollevò in uno Stadio Olimpico, letteralmente impazzito di gioia, colmo di bandiere tricolore. Fu la prima delle cosiddette “notti magiche”.
Pietro Anastasi nacque a Catania, il 7 aprile del 1948. Crebbe nella squadra locale della Massimiana. I suoi gol, le rovesciate, le piroette, lo fecero notare dai “talent scout” del Varese, squadra per cui i gol di “Petruzzu” si rivelarono decisivi per l’approdo e la conseguente permanenza in serie A. Convocato da Valcareggi nel 1968, per il trionfale Campionato Europeo, il bomber siciliano venne acquistato dalla Juventus, bruciando sul tempo l’Inter di Fraizzoli, grazie all’intervento personale di Gianni Agnelli, il quale apprezzava in modo particolare, le caratteristiche di fantasia ed imprevedibilità di “Petruzzu”.
Fu un matrimonio riuscito. Anastasi divenne in breve l’idolo dei tifosi bianconeri di origine meridionale. I suoi goal in acrobazia, i suoi dribbling, la sua capacità di smarcarsi, gli fecero ottenere il soprannome di “Pelè bianco”. Sarebbe stato tra i protagonisti del Mondiale messicano del 1970, ma, la notte precedente alla partenza, causa un malandrino scherzo del massaggiatore azzurro, Pietro riportò un forte trauma ad un testicolo, che lo costrinse a dare forfait ed a salutare la compagnia guidata da Ferruccio Valcareggi. Il centrattacco catanese non si abbatté ed in seguito, tornato più forte che pria, continuò a fare impazzire le difese avversarie, formando con l’ariete Roberto Bottega, una coppia da leccarsi i baffi. La Juventus dominò nei primi anni ’70, vincendo Scudetti e raggiungendo finali di Coppe dei Campioni ed Intercontinentali, grazie ai dribbling di Causio, ai tackles implacabili di Furino e Morino, al senso tattico di Capello, alle parate di Zoff, ai gol di Bottega e, non ultimi, a quelli del “Pelè bianco” di Catania.
“Petruzzu” fu sfortunato protagonista dell’infelice Mondiale tedesco del 1974: realizzò il terzo gol contro Haiti e, nella triste partita con i polacchi, gli fu negato un clamoroso rigore, dal “distratto” arbitro tedesco Weyland. Nello stesso incontro, Anastasi centrò il palo, all’inizio della ripresa, con il “gigione” portiere Tomaszwesky, impotente e fortunato. Come si suol dire, di fronte alla “sfiga”, nulla si può…
Terminata la sua avventura juventina, Anastasi, nel 1976 venne ingaggiato dall’Inter ed in seguito, girovagò tra Ascoli e Lugano. “Petruzzu” segnò il suo gol numero 100 in serie A, proprio contro la Juventus. Evidentemente, Anastasi aveva davvero la “vecchia signora” nel proprio destino.