di Gianni Massaro
Sulla trequarti prettamente, Calhanoglu quando è approdato nel territorio italiano non ha avuto vita facile, fuori e dentro al campo.
Decentrato anche, sull’esterno, involucro sofferente e un dieci macigno sulla maglia rossonera indossata.
Fischi e mugugni, i primi due anni e mezzo almeno complicati, Pioli ne migliora il rendimento, lui va in connubio di buona qualità e quantità in alcune partite e in vari sprazzi, s’esalta azzimando con piacevoli gesti, bazzica luoghi cruciali del gioco ma manca qualche rete alle grandi rivali, in generale pecca in fase prolifica.
Gli assist arrivano, e il sudore dato sotto la gestione Pioli encomiabile, le punizioni e il repertorio precedente mostrato sul suolo tedesco reso scarno, le punizioni e tiri letali di collo piede, collo pieno imprimendo traiettorie pungenti stentano.
Lui non ostenta e si mette al servizio del gioco, intelligenza e lanci calibrati, la straripanza atletica e la velocità punti non di forza.
Si attacca a spartito variabile, duttile e al contempo forse ribelle, un buono e silente ‘anarchico’.
Si incarica di responsabilità, un dieci vagamente vecchio stampo, un otto d’un tempo inadatto oggi a fungere da mezz’ala dirompente.
Orbita dalla mediana in su, senza dare riferimenti, s’accinge a trainare coraggioso una carriola piena di sassi, e fa fatica a ricamare e ritagliare magistralmente, attratto dall’esuberanza si spegne in alcune sfide.
Banale escluso dalle corde interiori, l’eccezionale una tensione che lo disturba, riesce a porsi almeno nel castello della trequarti, gironzolante come luminoso astro d’una costellazione, dosi di autoannichilimento contemplate, Hakan
è il sofferende per antonomasia, poco felice spesso e dedito a generosità, calciatore attaccato al rendimento ed imbrigliato al contempo.
La magia e le folgorazioni di classe le accantona, lotta sì, si accartoccia e si intromette da ottimo valore aggiuntivo senza la spina costante.
Anela incosciamente al dieci, e non si può adattare da otto superlativo, rifiuta il sette, così oscilla prettamente trovandosi con la sufficienza in mano, fra il mondo dei campioni in grado di accendere e gli atletici prestanti dalla scorza caterpillar degli ultimi anni.
All’Inter per la definitiva consacrazione, o per il confermato ottimo oblio. I più propenderebbero per la seconda.