di Nicoletta Natoli
In mano un sacchetto di plastica con dentro alcuni vestiti e nel cuore la speranza di poter vivere senza restrizioni la loro passione, magari diventando un giorno delle professioniste. Così qualche giorno fa sono atterrate all’aeroporto di Firenze le tre calciatrici della squadra di Herat dopo un viaggio rocambolesco, che le ha portate dall’orrore dell’Afghanistan alla quiete della Toscana in compagnia del loro allenatore e dei loro familiari.
Non sono bastati a fermare la loro voglia di libertà gli infiniti check-point dei talebani, le 48 ore trascorse in piedi nella calca all’aeroporto di Kabul e l’obbligo della quarantena, che hanno trascorso ad Avezzano nella tendopoli della Croce Rossa. Pur essendo molto tristi per aver lasciato forse per sempre il loro Paese, al loro arrivo nel capoluogo toscano si sono dette molto felici di essere riuscite a sfuggire alla persecuzione dei talebani, e fiduciose nella possibilità di continuare a coltivare il loro sogno di dare calci al pallone.
Per i talebani una donna non può giocare a calcio, ma queste tre ragazze coraggiose si allenavano comunque alle 5 del mattino per non dare nell’occhio. Occupavano solo una piccola zona del grande stadio di Herat, perché il resto del campo era accessibile esclusivamente agli uomini, e per poter giocare tranquillamente senza essere riconosciute indossavano il velo sulla testa, una calzamaglia e una maglietta a maniche lunghe. Hanno avuto il costante supporto del loro allenatore, anch’egli oggetto di minacce per aver sempre sostenuto di non fare alcuna differenza tra uomini e donne, focalizzandosi solo sullo sviluppo della passione e del talento dei suoi giocatori o delle sue giocatrici.
Grazie alle strutture messe a disposizione dalla Caritas di Firenze e dall’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, per le tre calciatrici di Herat si sono aperte le porte di una casa in cui potranno gettare le basi della loro nuova vita personale. Grazie alla FIGC, invece, si apriranno per loro le porte di Coverciano, dove saranno seguite da alcuni allenatori per la formazione calcistica, e da alcuni tutor che le accompagneranno anche alla scoperta della lingua e della cultura italiana.
È confortante vedere che nel buio di un dramma di proporzioni gigantesche come quello dell’Afghanistan il calcio possa accendere una piccola luce, diventando nello stesso tempo uno strumento di emancipazione, un simbolo di integrazione e solidarietà, e un veicolo che porta sulla strada della libertà.