di Lucio Marinucci
Mentre il Napoli raccoglie la sesta vittoria consecutiva e il Milan si riconferma a La Spezia, l’Inter incappa nel secondo pareggio stagionale. Il 2-2 con l’Atalanta andato in scena Domenica ha ben poco di Contiano e molto di Inzaghiano. Una partita folle e infinita, sovrabbondante di colpi scena, che alla fine si è conclusa con l’esito più giusto. Molte cose sono cambiate nella Milano nerazzurra dallo scorso anno e questo inizio di campionato ne è la conferma, poiché ’Inter non è mutata solo negli interpreti, ma soprattutto nelle interpretazioni. Le pesanti cessioni dell’ultimo mercato hanno portato ad un innegabile ridimensionamento della rosa, ma il gruppo ha saputo far di necessità virtù e con convinzione ha capito di doversi riadattare per riconfermarsi ad alti livelli. Dzeko non è certamente Lukaku e Dumfries non sarà Hakimi, ma ad Inzaghi va il merito di aver dato una nuova e competitiva fisionomia alla propria squadra.
Le prorompenti corse di Big Rom hanno lasciato il posto alle geometrie offensive del Cigno di Sarajevo e la ricerca esasperata della verticalità è stata sostituita da una manovra più corale. Anche le mezzali ora stazionano spesso oltre il centravanti e persino i centrali (vedi Skriniar) hanno più licenza di offendere. L’innalzamento del baricentro nerazzurro è finora evidenziato dai numeri, visto che l’Inter ad oggi ha concluso addirittura 69 volte da dentro l’area di rigore, dodici in più del Napoli (57) e 17 in più del Milan (52). Quindi se da un lato la squadra sembra aver innegabilmente perso in solidità, dall’altro ha guadagnato in spigliatezza e intraprendenza. Inoltre quella coccarda tricolore sul petto dona una consapevolezza non indifferente a quello che rimane l’organico più completo della Serie A. In un momento in cui tutti elogiano, giustamente, i risultati di Pioli e Spalletti è dunque doveroso ribadire che la squadra da battere resta ancora l’Inter di Simone Inzaghi.