di Lucio Marinucci
Ormai è sempre più evidente, in Serie A c’è qualcosa che non va. O meglio che non Var. Non si possono più ignorare le sempre più numerose perplessità riguardo le decisioni arbitrali delle ultime settimane. In particolare questa ottava giornata di Campionato sembra aver definitivamente alzato il polverone sulle interpretazioni dei direttori di gara e della Var. Ultima in ordine di tempo è la bufera che si è scatenata su Orsato al termine di Juventus-Roma. Il fischietto di Schio è stato investito dalle polemiche per aver assegnato un rigore ai giallorossi, poi sbagliato da Veretout, appena un secondo prima che Abraham depositasse a porta vuota il gol del pari. In realtà per i romanisti, che giustamente volevano che venisse applicato il vantaggio, c’è ben poco da recriminare; infatti Mkhitaryan, dopo aver subito il fallo, ha toccato il pallone con la mano, rendendo invalida la rete dell’1-1 ma ovviamente non cancellando il rigore netto. In pratica anche se Orsato avesse lasciato proseguire, alla fine si sarebbe comunque tornati con Veretout dagli undici metri. Tutto ciò ovviamente non può scagionare l’arbitro veneto, che è stato pizzicato dalle telecamere mentre spiegava ai giocatori della Roma come su falli da rigore non si possa mai applicare il vantaggio. Peccato che il regolamento specifichi come in evidenti occasioni da rete il direttore non debba sospendere il gioco, come accaduto invece a Torino. Un errore così grave da parte di un arbitro così esperto lascia perplessi, mentre la non conoscenza del regolamento lascia sbigottiti e rimane assolutamente ingiustificabile.
Aldilà dei singoli episodi però, appare doveroso soffermarsi anche su un altro tema alquanto spinoso: i calci di rigore. Nelle ultime 29 partite di Serie A infatti sono stati assegnati ben 22 penalty. Una statistica che preoccupa un po’, perché al netto degli indiscutibili rigori netti ne sono stati concessi altrettanti a dir poco generosi. È sempre bene ricordare che un tiro dal dischetto viene trasformato statisticamente tre volte su quattro e di conseguenza quando ne viene fischiato uno, è come se venisse quasi sempre assegnato un gol. Sdoganare l’importanza di quella che viene non a caso definita come la “massima punizione” può essere pericoloso. Due parastinchi che si sfiorano o un tacchetto che tocca appena uno scarpino non sono situazioni che possono valere un gol. L’impressione è che sia gli arbitri in campo che gli assistenti al Var stiano facendo prevalere la linea del fischiare ad ogni contatto, ma la verità è che chi ha giocato a calcio sa bene che esistono contatti e contatti. Anche in area. Se questi impediscono in maniera inequivocabile la prosecuzione dell’azione è ovviamente giusto dare rigore, ma se non è così sarebbe corretto lasciar proseguire, anche perché è evidente come in area alcuni giocatori cerchino ormai ossessivamente di farsi colpire dal difensore, consci del fatto che al minimo tocco disporranno di un penalty. Proseguire su questa linea dunque non solo significa snaturare il gioco in sé, ma anche favorire l’antisportività.
La strada per trovare una soluzione perfetta non è di certo vicina e né tantomeno lineare. L’attuale ricambio generazionale della classe arbitrale italiana però può trasformarsi in un’occasione di cambiamento per rendere la Var uno strumento ancora più equo e più giusto di quanto già non sia.