di Matteo Quaglini
Se da una parte del Tevere vivono gli eretici pirati della Lazio, dall’altra immaginano i loro sogni i sognatori della Roma. Nell’eterna sfida, che caratterizza la vera anima duale della città, tra i discendenti immaginari di Romolo e Remo, tra papisti e rivoluzionari romani, tra invasori e partigiani, c’è anche goliardica e seria quella tra romanisti e laziali depositari delle due fedi eretiche e inconvertibili di Roma.
E’ importante quando si parla dell’una citare sempre l’altra, perché i fratelli anche se rivali si sanno percepire, riconoscere, e mentre rivaleggiano senza esclusione di colpi in fondo e senza dirselo si rispettano e forse nel loro cuore si amano. Gli uni danno vita agli altri e viceversa, e questo ne accresce le diversità.
In questa storia dopo i pirati all’arrembaggio del loro sogno, ci sono i sognatori tout court e utopici figli del romanismo dei vicoli di Trastevere, di Monteverde, di Piazza Navona. Il calcio e la pallavolo hanno costruito a partire dagli anni 2000 quattro tipi di squadre simili per carattere, personalità e sogni.
I sogni di essere grandi, quelli di vincere, quelli di girare l’Europa delle partite internazionali, quelli di portare un’idea: altezzosa e vincente com’era nei tratti della Piaggio Roma di Montali e della Roma di Capello, piena di cuore e qualità di gioco com’erano la M. Roma di Osvaldo Hernandez e Miljkovic e la Roma spallettiana del 2008, squadre europee protagoniste nell’idea.
Quattro tipologie di squadre diverse e perfettamente speculari negli anni. Quattro squadre che hanno vita nella Roma di oggi. E questo giustifica racconto e parallelo. La Roma di Di Francesco è solida come il sestetto di Montali, Bracci e Gardini; è convinta come quella di Batistuta, Totti e Montella ma è anche e sempre più dinamica e sognatrice come quella di Spalletti che andava a Lione, Madrid, Valencia a giocare nella metà campo degli avversari.
Eccolo dunque l’aggancio tra storia e cronaca, il doppio tratto di uomini e squadre diverse. Torniamo indietro nel tempo, anno domini 2000. La Piaggio Roma vince lo scudetto battendo Modena, non più mitica Panini ma pur sempre la Juventus della pallavolo. Un minuto dopo l’ultima palla a terra, davanti ai 15.000 del Palaeur, nasce la festa che è la celebrazione rituale e pagana della vittoria di una squadra dura e straordinaria. Dodici mesi dopo l’Olimpico di 80.000 “aficionados” torna alle bandiere degli anni ’80, quelli del rinascimento della Roma nel calcio, e festeggia i campioni di una squadra dura e straordinaria. Non è una ripetizione, un refuso, è similitudine grande e speculare. Un gioco di specchi, vero però.
Gli allenatori prima di tutto: Montali e Capello guardano solo alla vittoria. E’ un mantra rimandato a memoria ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Compiono una sintesi nella costruzione della squadra chiamando i migliori. Hanno un’idea chiara dell’allenatore, è un generale.
Giampaolo Montali come Fabio Capello hanno fatto l’impresa di vincere con la Roma, divenendo imperatori non amatissimi forse a Roma ma rispettati come chi ti aiuta a raggiungere il tuo sogno e per questo tu lo ricordi. Così il pubblico ha amato, nell’attimo, questi due generali capaci di andare oltre l’ostacolo del “non ce la faremo mai”. Non poteva che essere così visto che uno il Monti sogna sempre come ebbe a dire, i cavalli al galoppo, una piccola continua battaglia di Balaklava in testa. L’altro l’hanno chiamato Fabio Massimo con tutta la retorica un po’ naif del romanismo ma anche con la forza del passato che aiuta a rendere grande il presente.
Se Montali e Capello hanno sempre tatticamente chiesto il rispetto dei compiti e delle posizioni dentro un gioco essenziale e strategico, questo è stato possibile perché i giocatori che sceglievano avevano gli stessi tratti più una cosa: il talento, il grande talento. E allora è un gioco a incastri adesso raccontarli.
Bracci il lupo della pallavolo è Candela, Hernandez è Cafu offensivi e veloci, Gardini è stato Emerson, il metronomo dove tutto passa mentre Grbic è Montella uomini alla Robin Williams, da attimo fuggente. Tutti giocatori che insieme a Totti, Batistuta e Tofoli hanno messo il talento dentro il collettivo regalando il sogno più grande alla città quello di essere ancora una volta, imperitura.
Le squadre del 2008 erano simili per mentalità. Già la mentalità, il pilastro degli uomini quando si relazionano con gli altri. Due squadre europee: La M. Roma vinse la coppa Cev, l’Europa League della pallavolo e quella di Spalletti fece due quarti di finale in Champions venendo ammirata e studiata da allenatori come Guardiola, Ferguson, Mourinho.
Erano due squadre non dell’attimo come le altre due, ma della costruzione. E la loro similitudine è sintetizzata dai giocatori: Totti, Tofoli, Hernandez c’erano negli scudetti da vincere a tutti i costi e c’erano nel gioco europeo da esportare. Quando si sa cambiare e recitare ruoli diversi senza fingere ma credendo nell’idea che ti migliora, si è grandi nello sport come nella vita.
Domenica la Roma di Di Francesco gioca a Genova e quando le squadre entreranno in campo potrà sembrare di vederli tutti insieme questi giocatori diversi, questi allenatori, queste idee che abbiamo raccontato, perché la Roma attuale ha un po’ della solidità dei generali e un po’ dei sogni dei romantici.
Non poteva che, per ribadire tali tratti, giocare a Genova: la città dove gli inglesi portarono il calcio in Italia. Un commercio che divenne sogno, appunto.