The Beautiful Game

Posted By on Feb 28, 2018 | 0 comments


di Giacomo Pariselli

 

C’era una volta il calcio

 

Zoff, Maldini, Nesta, Facchetti, Pirlo, Conti, Rivera, Baggio, Totti, Rossi, sono solo alcuni dei grandi nomi che hanno costellato l’universo di un calcio ormai lontano anni luce da quello visto nell’ultimo decennio. Occorre tornare indietro di oltre vent’anni infatti, per assistere all’esordio più recente di un calciatore italiano di caratura internazionale, Buffon. L’unico ancora in attività, per altro. Allora, per trovare una chiave di lettura che possa spiegare questa illogica involuzione, proviamo a spostarci indietro nello spazio e nel tempo, diciamo Londra, seconda metà dell’800. In una taverna sulla Great Queen Street, un gruppo di gentlemen inglesi crea la Footbal Association, dichiarando così l’indipendenza del gioco del calcio da quello del rugby. Volevano regolamentare quello che sino ad allora era stato un gioco di strada, in cui decine di persone si rincorrevano, spesso anche per giorni, con un oggetto dalla forma sferica tra i piedi. Era il primo passo verso il calcio moderno; un gioco che, col tempo, ha appassionato tifosi di tutto il mondo, diventando, inevitabilmente, un piatto ghiotto anche per investitori e affaristi. Perché non puntare su un veicolo di comunicazione così potente, per farne un marchio e venderlo in tutto il mondo? In altre parole, creare un business. Detto, fatto: società quotate in borsa, marketing, diritti tv, concetti inconcepibili per chi è innamorato di questo sport. Allora torniamo per un attimo alle origini, alla strada. Questa fabbrica di talenti non era solo una scuola di calcio, ma di vita, dove si forgiava prima l’uomo del calciatore, imparando il valore del rispetto e del sacrificio. Oggi, invece, a regnare sovrano è il principio del tutto e subito, grazie al quale si è fatta largo una figura, quella del procuratore sportivo, ai margini del sistema fino a qualche anno fa. Il procuratore è colui, appunto, che procaccia opportunità aggirando la meritocrazia, poiché rappresenta una scorciatoia verso certi palcoscenici. E così l’ombelico del calcio non è più la strada, o il campo, ma la scrivania. Contratti, bonus, sponsor, clausole, roba da ufficio, burocratica, che ha sbiadito i vividi colori dell’attaccamento alla maglia, della riconoscenza e dell’affetto dei tifosi. E’ qui che il sentimento si raffredda, creando una barriera tra i protagonisti, che un tempo condividevano le stesse esperienze degli appassionati, e questi ultimi, che non si rispecchiano più in quel mondo troppo lontano dalla propria realtà, perché artefatto. E quando il sentimento viene meno, subentra la nostalgia, quella per qualcosa che non esiste più, ma che continua a vivere nei cuori di chi quel qualcosa lo ha vissuto davvero per quello che era, un gioco bellissimo.

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