Juventus-Atletico Madrid

Posted By on Mar 12, 2019 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

 

Per abbattere un muro, ci vuole strategia: Il modo cioè di impiegare il tempo e lo spazio.  Juventus-Atletico Madrid è questo tipo di partita, una gara legata non alla carica a testa bassa, non all’attacco solo frontale, non a un’unica impostazione tattica. E’ una partita più complessa, più articolata.

La sua complessità sta nello schieramento sempre fisso degli spagnoli. Il 4-4-2 di Simeone è immutabile e granitico, solido e difficile da “spostare”. L’Atletico difende come difendevano le centurie romane, tutti uniti in un “sol uomo”, o come i quadrati inglesi di Picton contro le cariche della cavalleria pesante napoleonica a Waterloo, stretti nei reparti e tra i reparti.

Proprio qui si gioca tutta la partita tattica della Juventus: nel modo di portare la manovra offensiva fin sulla linea dell’area di rigore e con quali tempi attaccare la “muraglia cinese” degli spagnoli per sbilanciarla quel tanto che serve a rompere l’equilibrio e ad aprirsi un varco in cui entrare con forza, determinazione, qualità per fare gol.

Per questo motivo Allegri sceglie uno schieramento offensivo con tre giocatori: Bernardeschi o Dybala, Mandzukic centravanti e Cr7 a sinistra pronto a scatenare la sua velocità nel cambio di passo.  Importante è anche la costruzione del centrocampo, Pjanic a tessere il gioco con Can e Matuidi che dovranno inserirsi con i giusti tempi in area e fungere da attaccanti aggiunti.

Come si vede non si tratta di una strategia unica. Il piano della Juventus è sbilanciare l’Atletico in tutti i settori del campo, un assedio allargato a tutto il fronte offensivo. Non ci saranno azioni diversive, come fece Napoleone a Waterloo mandando 13.000 soldati francesi al castello Hougoumont per costringere il duca di Wellington a coprire il suo fianco destro scoprendo, così, il centro in cui il suo esercito avrebbe potuto infilarsi e vincere la battaglia.

Simeone farà esattamente quello che fece Wellington, in quel pomeriggio del 18 giugno del 1815, non muoverà il centro per nessun motivo. Orientando l’attacco della Juventus su tante maniere di offendere e frustandone tutti i tentativi con la forza del posizionamento e della grinta nei contrasti. Quindi, per avere un quadro chiaro della situazione, l’Allegri chiederà ai suoi di attaccare tanto dalla parte di Ronaldo, quanto al centro con lo sceriffo Manzdukic, e tanto sulla corsia di destra dove agirà uno tra Dybala e Bernardeschi.

Il primo settore che trova un varco, che rompe l’equilibrio per stare alle teorie napoleoniche sugli assedi, porta dentro tutti gli altri uomini. Ad esempio se dovesse essere Ronaldo a sfondare dalla parte di Arias costringendo il centrale di parte a uscire e coprire lateralmente per tappare la falla, lo seguirebbero anche Matuidi e poi in sovrapposizione, in determinati momenti, Spinazzola esterno destro basso chiamato a sostituire Alex Sandro.

Tre movimenti tre, perché l’Atletico non si sposterà tanto facilmente, non si farà ingabbiare come fecero i galli con Cesare nelle guerre che sancirono l’inizio della gloria del primo grande Pontefice massimo dell’Impero romano. Fermi, granitici, immobili e duri a resistere come Bruce Willis in Die Hard. L’Atletico è fortissimo nello stare in difesa bassa vicino all’area, è uno dei principi di gioco su cui Simeone ha costruito questa grande squadra.

Ora visto che è la strategia a farla da padrone, stabilito il piano di battaglia contano gli uomini. E qui torna importante la figura del regista, Pjanic. Il costruttore di gioco nel calcio moderno sta scomparendo per ragione strutturali, per il pressing concentrato a centrocampo, per la mancanza di una formazione dei giocatori da giovani, ma Pjanic è uno degli ultimi prototipi e serve questo suo ruolo in una gara di sbilanciamenti come questa.

I tempi e la palla lunga o corta negli spazi, sui lati o tra gli uomini saranno le tessiture necessarie per attuare l’assedio allargato che la Juventus ha nella testa e vuole mettere anche nelle gambe e nella corsa. Quando allargare la palla su Ronaldo per averlo sempre lucido e non subito super impegnato in una partita così lunga? Quando fare il passaggio corto per vedere se gli altri escono con i centrali di centrocampo? Quando cambiare il gioco sulla fascia opposta? E quando mettere la palla in verticale sulla “cabeza” del croato iracondo e vice campione del mondo?

Sembra l’Amleto di Shakespeare e invece è l’esaltazione, nel calcio moderno della corsa, di una vecchia figura del calcio: il regista. I tempi non devono essere troppo veloci, l’Atletico non si sposta. Non devono essere frenetici, la manovra ha bisogno di svilupparsi con passaggi tecnici perché il piano si realizzi. Ci vuole raziocinio, calma e la palla nello spazio appena qualcuno degli spagnoli allenta le distanze tra gli uomini.

La carica alla battaglia di Balaclava è a favore dell’Atletico. Il gioco ragionato, invece, può dare una possibilità alla Juventus anche per trovare le palle inattive tanto preparate in questi giorni. Napoleone si mise in mostra a Tolone, l’unico assedio che ha vinto in carriera. Allegri se vince quello di Torino si apre la strada alla finale, che per una volta vale più di un impero.

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