Di Matteo Quaglini
Due grandi città che guardano al mare, Cagliari e Catania. E come tutte le città bagnate dalle acque, si aprono al sogno. Dietro il sipario dei sogni sardi e siciliani c’erano il grande Cagliari di Gigi Riva e la Catania Paoletti di Carmelo Pittera. Due squadre mitiche della storia dello sport italiano nel quale meritano uno spazio ampio nella collana delle emozioni di sempre. Vincere il campionato per il Cagliari fu il coronamento di un percorso tecnico che era partito dalla prima indimenticabile promozione in serie A del 1964, significò la realizzazione di un sogno.
La squadra che Manlio Scopigno aveva costruito gli somigliava profondamente: calma all’apparenza e capace di accendersi quando in gioco più dei punti c’era l’onore. E qui in questo tratto sta la magia di quel Cagliari campione d’Italia e la profondità del suo istrionico allenatore. Si gioca per la bandiera. Un sentimento grandissimo dove il cuore è lanciato veramente oltre l’ostacolo e l’emozione è vissuta a cento all’ora, a briglia sciolta con una bomba di sinistro di Riva, uno scatto a rompere le linee di Domenghini, una parata salva risultato di Albertosi.
Ognuno mise la propria personalità e la classe, sul campo: si chiama magnetismo e non c’è forza, catenaccio, passaggio alla Rivera, gol alla Altafini, che possa contenerlo o batterlo. Il Cagliari vinse il campionato del 1970 con Riva capocannoniere con 21 gol per la terza volta, era il segno di re Brenno (per dirla con Brera) sul trionfo. Il guerriero che brandendo la spada dell’indipendenza dalle solite vittorie di Juventus, Milan e Inter, la prende e la conficca di forza sul terreno con l’esercito rivale già in rotta dietro la collina. In quel momento si alza il vento della vittoria che spira leggiadro sui volti dei campioni o dei guerrieri che hanno vinto il destino. E dopo c’è la celebrazione pagana, quindi autentica, del sogno che diventa realtà. Per il Cagliari quella celebrazione ha una data e fu una partita.
Il Cagliari vinse il campionato italiano di calcio il 12 aprile del 1970 battendo il Bari nel mitico Amsicora che l’anno dopo avrebbe lasciato spazio al nuovo e attuale ai nostri giorni, Sant’Elia. Ma la celebrazione di uno scudetto epico e cavalleresco avvenne due settimane dopo, il 26 aprile a Torino contro i mitici granata. Li Riva e Domenghini con la partecipazione di Bobo Gori altro cavaliere di sardegna, segnarono quattro gol, quattro. Era appunto la celebrazione pagana della vittoria che vale una carriera, perché sa di magia. Quei quattro gol spiegano la grandezza del Cagliari campione: noi che siamo già vincitori continuiamo a giocare e a vincere, per la bandiera.
Lo scudetto della Catania Paoletti è altrettanto pieno d’avventura piratesca e di classe. Il suo mentore fu Carmelo Pittera catanese puro sangue. Un allenatore a cui in Sicilia accostano prima del nome l’appellativo di Don, come si fa in Spagna per distinguere i grandi dai normali, i dioscuri dagli empi. Come Manlio Scopigno per il Cagliari, Don Carmelo è l’artefice della personalità forte e granitica della sua squadra. La Paoletti si muove nel mare magnum di squadre rivali che già conoscono la vittoria e che al contrario di lei sanno come si percorre la impervia strada verso lo scudetto
C’è la Panini Modena, la Juventus della Pallavolo, già quattro volte campione d’Italia. C’è Ravenna che rivive in chiave competitività, i fasti della Robur la prima squadra scudettata della pallavolo italiana nel primo dopoguerra a partire dal 1946. C’è il Torino che come quello di Giagnoni per la squadra campione d’Italia 1976, prepara il terreno alla grande squadra di Silvano Prandi che dominerà negli anni futuri la pallavolo italiana. Ci sono anche tra i moschettieri all’assalto dello scudetto, Parma e la FederLazio Roma. Gli emiliani hanno vinto lo scudetto nel 1969 dopo quelli degli anni cinquanta, mentre la FederLazio Roma è la squadra campione in carica. Insomma, tutti rivali che conoscono il campo di battaglia e che sono agguerriti e attrezzati più del Catania. Qui Don Carmelo tira fuori il guizzo dei grandi come poi farà nel settembre dello stesso 1978 guidando la nazionale alla finale mondiale contro gli zar di tutte le russie. Da anni allena la squadra conosce potenzialità e difetti tanto da riunire a “corte” , come faceva Federico II nella Sicilia del ‘200 medievale, tutti i migliori interpreti di culture diverse. Ci sono i ragazzi di Sicilia che lottano per la
bandiera. Ci sono Scilipoti, l’uomo che affosserà assieme a Lanfranco Cuba con un ultimo punto nella semifinale mondiale che ha fatto la storia dei parquet, e Nassi l’artista. C’è Nello Greco 1,78 cm sovrano della ricezione e per tutti la pulce dell’Etna. Una squadra fatta di uomini allenati all’impresa dentro alla severe imperturbabilità di Carmelo Pittera, non poteva non vincere. Su 22 partite la Paoletti Catania ne vinse 21 e fu scudetto: il primo di una squadra siciliana nella pallavolo, e l’unico a tutt’oggi. Il Cagliari e la Paoletti Catania erano l’oro dell’isola.