Di Matteo Quaglini
Un tempo le premiazioni che assegnavano le coppe europee si celebravano sul terreno di gioco. Era il rito pagano che consegnava il calcio al calcio, in senso pratico. E in nome di un principio della tradizione: il football è tutto ciò che accade sul campo. Nella pallavolo, questo rito che eguaglia i riconoscimenti sinceri e rustici dei pagus del tempo antico, si svolge ancora. Come nel calcio degli anni ’50, ’60, si premia la squadra vincitrice sul parquet: esattamente lì, dove fino a un attimo prima, infuriava la tenzone.
Queste premiazioni del tempo medievale da cavalieri coraggiosi o da soldati di ventura, hanno visto protagoniste anche le squadre della Roma. La A.S. Roma calcio e la M. Roma pallavolo. I tempi e le coppe in questione sono diversi. Dobbiamo, con la nostra macchina del tempo, andare indietro nella storia del palio romanista, ad una calda estate del giugno 1972 e tuffarci nell’Olimpico gremito da 40.000 aficionados al feudo romanista. Nel ventiquattresimo giorno del mese che i francesi della Rivoluzione avevano chiamato Messidoro, va in scena la finale della terza edizione del trofeo Anglo-Italiano che mette di fronte la migliore italiana e la migliore inglese, del calcio che non si è qualificato per i tornei Uefa, uscite dai tre raggruppamenti in cui le dodici squadre partecipanti sono state suddivise. E’ il tempo della primissima Roma di Gaetano Anzalone, il presidente buono ed emotivo della storiografia romanista. E’ il tempo anche della quarta Roma di Helenio Herrera, che ha chiuso il campionato al settimo posto e ora gioca uno spaccato d’Europa. Di fronte c’è il Blackpool sesto in First Division e guidato dal bomber Micky Burns. Caldo è quel giorno del giugno ’72. Il presidente Anzalone è in preda alla sua famosa emotività da tifoso innamorato ai primi appuntamenti con la sua bella, mentre Herrera lo rassicura con tutta la sua sicumera dei giorni migliori: “tranquillo presidente, si vince”.
Per arrivare a quella finale la Roma ha giocato quattro partite in nove giorni. Il primo giugno ha perso all’Olimpico contro il Carlisle United nella più classica delle sconfitte della sua affascinante e imprevedibile storia: subendo la rimonta mentre è in vantaggio per 2-1. Martin e Winstaley, furono alcuni dei tanti guastatori di un sogno immarscescibile di vittoria. Ma Herrera è carico più che mai, sarà per l’amore con donna Flora Gandolfi, sarà che la città ancora crede nel miracolo di una nuova Grande Inter, sarà che il calcio offre sempre una nuova speranza, sarà per tutto questo che Spadoni rimanda con due gol sul groppone lo Stoke City in Inghilterra.
Tre giorni dopo la Roma resiste a Carlislie e all’85° pareggia con Renato Cappellini, pretoriano di Herrera e buon scrittore di libri gialli nel tempo libero. Non sarà Agatha Christie il buon Renatino, ma ci mette passione nello scrivere e nel fare gol per il suo mentore franco-argentino. Quando Santarini e Spadoni fanno gol nella tana dello Stoke, è fatta e anche noi possiamo dopo la digressione tornare a raccontare la finale.
Il sole è torrido sull’Olimpico, quel 24 giugno ’72, Herrera ha scelto i suoi corsari e li schiera dall’uno all’undici sul fronte inglese come facevano gli scozzesi nelle guerre d’Indipendenza quando lottavano con la Perfida Albione. In porta c’è Ginulfi, il romanino, in difesa Santarini libero e Bet stopper su Burns, il bomber di Blackpool. I terzini sono Capelli, altro fedelissimo del Mago, e Liborio Liguori che ogni tanto osa anche fare gol. A centrocampo la classe, l’estro, il talento nel passaggio di Cordova è difeso dagli scudieri Franzot e Salvori. Mentre in attacco insidiano la porta difesa da Burridge, il nostro Cappellini, il naif Zigoni e il talentuoso Valerio Spadoni. Arbitra un principe del Foro dei fischietti, l’austriaco Linemayer.
Primo tempo equilibrato e 0-0, da classico atto finale. Poi interviene lui, Renato lo scrittore e al ‘4° minuto del secondo tempo fa gol. Non ha aspettato l’ultima pagina il centravanti di Soncino, lo stesso paese di nascita del grande capitano Losi, le sue “Carte in Tavola” le ha gettate subito sul tavolo della finale. Anche Agatha Christie sorride. Gli inglesi reagiscono, ma Herrera ha emanato il suo fluido e la Roma carica a testa bassa. Al ’24° esce proprio Cappellini e entra Scaratti, Torre in Pietra. Don Helenio lo stima perché è uno che si è fatto da solo, passo dopo passo. Francesciello Scaratti, sei minuti dopo, segna la rete del 2-0 e ormai la coppa che sta arrivando a bordo campo, pende dalla parte della Roma. Al 86° Zigoni, che gira le strade della Città Eterna con pellicce e capelli da losangelino americano, chiude la contesa col 3-0. Il gol degli inglesi pochi minuti dopo con Alcock è valido per la bandiera, a cui loro a dir il vero tengono giustamente molto. E’ fatta la coppa si sposta al centro del campo e Cordova la alza al cielo di Roma vicino a Anzalone e Herrera sorridenti, il rito pagano è stato compiuto.
Lo stesso rito che il 24 marzo 2008, trentasei anni dopo il giorno dell’Olimpico, andò in scena la Palazzetto di Viale Tiziano con la vittoria della M.Roma Volley in Coppa Cev, l’Uefa della palla in aria. E’ una squadra forte quella del presidente Mezzaroma, che da giovane fu anche per poco tempo dirigente della A.S. Roma ’93-’94, e dell’allenatore piemontese Serniotti. Ma è anche, come il campionato e i play off dimostreranno, una squadra sbilanciata nella costruzione: troppi attaccanti di peso e il solo Henno (fortissimo libero francese) in grado di difendere a tutto campo. Nella pallavolo si vince si attaccando, ma soprattutto difendendo e murando. In Europa però la musica cambia e le randellate del fuoriclasse serbo Milijkovic portano avanti la Roma che salta. Dopo aver rimesso a posto i finlandesi del Pielaveden in un tie break al 5° set palpitante, l’atletismo del cubano Marshall e le veloci di Kooistra e Mastrangelo fruttarono due vittorie sui turchi dell’Istanbul: mamma li turchi sarà per un’altra volta.
Dopo aver scavalcato anche i francesi del Toulouse con un altro tie break al cardiopalma e aver subito, in classico romanismo la rimonta da 2-0 a 2-2, la squadra vola a Salonicco contro una grande polisportiva, l’Olympiakos. Vince sia nella terra di Aristotele che a Roma e accede alla Final Four di Roma. In semifinale i russi del Fakel non oppongono grande resistenza, ma un punto è importante. E’ nata la staffetta tra i palleggiatori Coscione e Tofoli e gli opposti Milijkovic e il cubano Osvaldo Hernandez, un piano che nella stagione naufragherà in semifinale scudetto rimanendo inutilizzata come quella Mazzola-Rivera contro il Brasile di Pelè nel ’70. In Coppa Cev però funziona e la classe di Tofoli nello smistare il gioco e Hernandez nell’attaccare da seconda linea, sono ancora magistrali. Il Blackpool della M. Roma Volley si chiama Noliko Maaseik e sta alla pallavolo come il Bruges, il Malines e l’Anderlecht stanno al calcio: sono forti insomma.
Davanti a 3.500 amanti della pallavolo, parte la finale. Primo set equilibrato, con Roma in controllo. Poi un po’ di tensione e siamo pari. Ma la staffetta si attiva, Tofoli alza da par suo e Hernandez è come il Che, un liberatore degli oppressi. Vinto il primo, il secondo vien da se. Unica teoria azzeccata da Monchi nel suo soggiorno romano, ma questa è un’altra storia. Sul 2-0, la Roma si rilassa e non è una novità. I belgi spingono mentre anche qui la coppa si può vedere a fondo campo. La squadra di Serniotti, allenatore bravo ma didascalico, spinge per il rush finale: Mastrangelo mura, Savani uncina in parallela e anche Molteni da una mano in ricezione ricordando lo spirito di lotta del grande Scaratti. E’ fatta, 3-0 e coppa nelle mani. Capitan Tofoli alza la Coppa Cev e durante il giro di campo, i pallavolisti somigliano all’occhio del piccolo cronista ai calciatori di Herrera che trentasei anni prima hanno giocato anche loro una finale. Meglio nota come l’altra coppa di Roma.