Matteo Quaglini
Rinus e Doug, Julio e Arrigo. A raccontarli e a scriverli così uno dietro l’altro sembrano quattro amici al bar, quelli alla Paoli, che tra un vino d’annata e un bicchiere di martini alla Bogart parlano di rivoluzionare il mondo dello sport con le loro idee controverse e suggestive, prima di tornare a casa dalle mogli. E aspettare che arrivi l’indomani per una nuova giornata di quotidianità.
Invece sono stati nel calcio come nella pallavolo dei rivoluzionari veri e autentici, dei bastian contrari all’inizio, dei vate riveriti all’apice della carriera, dei santoni da consultare oggi, per capire che aria tira nello sport globalizzato dei giorni nostri. E’ da consultare anche Rinus, che oggi allena in un universo parallelo, che era già a metà anni ’60 anni luce avanti a tutti.
Ciascuno può metterli insieme come meglio crede. Si tratta di scelte. Di suggestioni. Per noi Rinus Michels santone dell’Olanda libera e libertina degli anni ’70 è stato nel calcio quello che Doug Beal vate americano della pallavolo iper-specializzata è stato negli anni’80 nella pallavolo mondiale.
Entrambi portatori eretici e per questo magnifici, di un’idea pazza: rovesciare lo stile del gioco classico per affermarne uno nuovo. Uno stile estetico e non effimero teso verso l’idea della tattica aggressiva, della costante offensiva, del concetto grande di imporre il gioco senza subirlo.
Delle regole di Michels sappiamo tutto, come delle tavole di Mosè per il primo Cristianesimo, hanno rappresentato la sintesi del calcio totale. Un’idea alla base della quale c’era un principio semplice e devastante: tutti sanno fare tutto sia tecnicamente che tatticamente. Tutti giocano insieme. Tutti credono, come infondeva Napoleone ai suoi, nell’unica idea possibile e realizzabile, la vittoria. Tutti sono individualmente e collettivamente in grado di esprimere talento e disciplina, mondi non antitetici. Tutti giocano il ruolo degli eretici, degli illuministi ai tempi dell’antico regime, dei rivoluzionari del 1789.
E così Neeskens è Saint-Just, Cruijff è Danton come Karch Kiraly (il più grande pallavolista di tutti i tempi, insieme a Bernardi) è Voltaire e Timmons è Marat. Quello che hanno in comune Doug e Rinus, è semplice e grande. Entrambi hanno scelto per vincere la via difficile di un gioco diverso e complesso. In ossequio ad un vecchio principio che gli imitatori arrivano secondi, non fosse altro perché qualcuno ha già pensato la tua idea e nel pensarla l’ha messa in pratica.
Così Michels ha costruito il calcio totale dalla zona- pressing, il fuorigioco a metà campo, l’attacco come unico atteggiamento possibile rispetto all’avversario. Così Beal ha creato, dal nulla, gli Usa della pallavolo sulla specializzazione dei ruoli (ognuno si specializza in un fondamentale, dall’attacco alla difesa) sulla difesa aggressiva, dove ciascun pallone può essere difeso non esistendo l’impossibile. Una macchina da fordismo americano dove il talento è parcellizzato ma la somma dei singoli, in incastri perfetti, crea la squadra e produce vittorie.
La rivoluzione dell’olandese volante e del dottore in metodologia dell’allenamento si è compiuta perché hanno saputo battere i monoliti del loro tempo. Il calcio latino delle grandi individualità e del gioco fraseggiato come del contropiede letale per Rinus. La pallavolo sovietica, impostata sul gioco frontale e l’universalità dei giocatori per Beal. Una sola differenza forse, li distanzia, un Gerd Muller nella pallavolo che si gira e mette in porta l’Olanda e la coppa del mondo, gli americani della pallavolo non l’hanno incontrato.
E Julio e Arrigo? Due rivoluzionari importatori. Velasco per anni ha studiato gli americani e una volta arrivato in Italia ha instillato la rivoluzione mentale prima che tecnica. L’idea della cultura vincente che ti fa andare oltre i tuoi limiti, l’essere duri per sviluppare la capacità di affrontare le difficoltà apposta per superarle.
Una rivoluzione culturale che portò, la Nazionale, dall’undicesimo posto mondiale a diventare campione del mondo, perché Julio il rivoluzionario che veniva dall’Argentina di Videla, aveva saputo tirar fuori il meglio, il nascosto, il talento umano che era dentro i ragazzi dell’85, diventati per sempre la generazione dei fenomeni.
Arrigo Sacchi sta a Velasco perfettamente. Perché entrambi hanno operato negli stessi anni, perché Sacchi da sconosciuto come Julio parlava di grandi concetti mutati dall’Olanda di Michels, perché l’Arrigo ieratico sosteneva che era possibile andare oltre il limite del contropiede. Il Milan anonimo degli anni ‘80 si trasformò con un gioco che esprimeva diversità e spregiudicatezza come in un quadro di Dalì, nella squadra del secolo. Esattamente come la Nazionale di Julio Velasco. Il titolo dei titoli a significare che la rivoluzione è esistita e passata alla storia. Sembra di vederli, oggi, Rinus, Doug, Julio e Arrigo che si raccontano, in una tavolata al bar, le loro rivoluzioni, non immaginarie ma vere. E grandissime.