Quarant’anni della Perugia dal talento francese

Posted By on Nov 29, 2020 | 0 comments


Di Matteo Quaglini

Perugia è una città votata al talento. Ieri nel calcio con il mitico Perugia di Ilario Castagner nell’anno del dio pallone 1979, oggi nella pallavolo con la squadra allenata prima da Lorenzo Bernardi il giocatore del secolo e poi dall’allenatore belga Vital Heynen. La Perugia di ieri rivive in questi anni il suo momento magico tentando di nuovo con grandi campioni e capitani di ventura la scalata alla vittoria. Lo scudetto nella pallavolo è arrivato due anni fa con Bernardi capace di guidare, attaccando come faceva da giocatore, i suoi giocatori argentini, italiani e serbi al trionfo. Quel successo è stato il traguardo che ha finalmente ricongiunto le due Perugia, quella della palla in aria e quella imbattuta e quasi campione d’Italia di quarantuno anni fa.

Una traiettoria verso il successo di uomini e giocatori che apparentemente, quando il destino lì mette assieme, non hanno nulla in comune tra loro è data dalla gestione del tempo, dello spazio e del talento. Tre componenti per costruire l’idea di squadra, tre componenti per sfidare gli avversari con la consapevolezza dei forti. Tre componenti per sublimare le altre: qualità tecnica, sapienza tattica, personalità, cuore e determinazione.

Negli affondi gol di Vannini a Torino contro la Juventus bi-campione d’Italia di fine anni Settanta, nel gioco duro e tecnico di un giovane Salvatore Bagni, nel controllo del campo dei capitani Frosio e Ceccarini, nei movimenti di Speggiorin e Casarsa c’era tutto il talento sognatore e minerario di uomini un po’ artisti un po’ calciatori. Di uomini alla Pinturicchio, alla Perugino, alla Piero Della Francesca, pittori intrisi tra genio e visione col sogno sempre acceso di realizzare per la loro Perugia, l’impossibile.

La stessa arte che in questi anni hanno espresso tecnicamente le alzate del serafico argentino De Cecco e dell’equilibratore Dragan Travica, i muri del serbo d’acciaio Podrascanin e le veloci dell’argentino Solé, le ricezioni precise del Prohaska della pallavolo Berger, gli attacchi da obici da battaglie di Wagram Atanasijevic, Zaytsev e Wilfredo Leon.

Due squadre, a distanza di un quarantennio, dal “profilo francese” per dirla con le parole di una famosa canzone di De André, un altro che di espressione del talento puro se ne intendeva. Due squadre il Perugia del 1979 e quello di oggi nella pallavolo aperte al genio e alla volontà di manifestarlo, ipnotizzando gli avversari.

Ci vogliono anche nello sport i Saint-Just, i Danton, i Marat, gli Jim Morrison, i Jack Nicholson, i Maradona, per trasformare una filosofia in una carriera, per traslare un’idea dalla mente alla realtà, per portare un assolo, una recitazione, un colpo di classe all’imbattibilità. Quella stessa imbattibilità che per 30 partite di campionato ebbe il Perugia di Castagner. E presente anche nella forza granitica della Sir Perugia che schiaccia, riceve e vince sotto rete.

Questi personaggi da rivoluzione culturale sono stati, nella città delle signorie dei Visconti e dei Baglioni, Ilario Castagner e Lorenzo Bernardi. Allenatori attaccanti da panchina come lo erano da giocatori, Castagner tra buone serie B e C, Lorenzo il Magnifico ai livelli più grandi con Modena, Treviso, Macerata e la Nazionale dal passo italo-argentino. In ognuno dei due c’è qualcosa dell’altro. Castagner ha di Bernardi il senso del gioco d’attacco, l’idea che tutta l’azione di costruzione fosse un unico grande attimo volto a preparare l’affondo finale, per questo in quel Perugia di quarantuno anni fa c’erano i Bagni e i Vannini e per questo in quello di Bernardi c’è stato Atanasijevic e ora c’è la potenza cannibalesca di Leon. E’ la verticalità, l’attacco diretto dell’avversario da lontano che unisce il gioco degli insospettabili di allora e degli ambiziosi di oggi.

In questo stile di gioco Bernardi ha avuto di Castagner la cura per la costruzione della squadra, l’idea complessiva, il piano che legittima tutto il sistema. La scelta di Berger, al posto dell’ora claudicante schiacciatore americano Russel, fu il simbolo del suo modo di vedere e pensare la pallavolo. Un ragionamento all’inverso: non ha voluto un altro “picchiatore” per fare la squadra, ha cercato un geometra del gioco che potesse dargli, quando chiamato in causa, l’altro grande tratto dei vincenti, l’equilibrio di matrice orientale.

Proprio come fece Castagner affidando le redini della regia e della prima costruzione a Frosio, il capitano del suo grande, immaginifico Perugia. I pensatori si sa proiettano il loro pensiero nei pratici, quelli che devono realizzare l’idea. Quelli che devono renderla vincente di fronte agli avversari. Gli avversari dunque, ci siamo. L’ultimo ostacolo da superare, dopo quello con sé stessi, affinché il sogno si realizzi.

Il Perugia del 1979 rivaleggiava con Liedholm e il suo Milan della zona orizzontale, dei grandi campioni in difesa, del diciottenne Baresi già autorevolmente “kaiser Franz” e dell’ultimo magistero di sua maestà Gianni Rivera. Era una squadra diversa da quel Perugia, flemmatica, furba e attenta come il barone svedese. Vinse, impattando due partite e bloccando la verticalità dei perugini. Ma Castagner pur secondo conquistò ugualmente lo “scudetto”, perché la vittoria ha molte facce se le si sanno guardare. Imbattuti per primi nella storia del calcio italiano, il segno della loro diversità.

La Sir Perugia di pallavolo vice campione d’Europa, vincitrice di Coppa Italia e Super Coppa Italiana, Campione d’Italia ha superato squadre come il Trentino dei nazionali italiani e serbi,  l’acerrimo rivale Civitanova, la storica Modena. Esattamente così come sulle sue terre combattevano nel ‘500 gli ostrogoti di Teodorico e i bizantini di Belisario, ha dato battaglia anche nel nome del mitico Perugia di don Ilario Castagner. Bisogna battere l’avversario alla fine, dice la legge non scritta dello sport, perché il talento da tratto si trasformi nell’emozione della vittoria. Un’emozione che alberga da quarant’anni a Perugia. E che ancora oggi continua su un campo di pallavolo.

 

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