di Lucio Marinucci
Siamo nel 1982 e il miliardario industriale belga John Cordier decide di rilevare il club calcistico Mechelen, noto anche con il nome di Malines, per lanciarsi in una nuova avventura nel mondo dello sport. L’ambizioso neopresidente si impegna immediatamente nell’investire diversi milioni di franchi per riportare la società giallorossa nell’elite del calcio fiammingo (gli unici successi risalivano agli scudetti del 42-43, 45-46 e 47-48). Ristruttura il vecchio stadio Achter De Kazerne, ammodernandolo e ampliandolo fino a più di 10000 posti, e si impegna ad investire molto sul mercato: nel giro di pochi anni arrivano tra i tanti il portiere Preud’Homme, il capitano Clijsters in difesa, Erwin Koeman (fratello di Ronald), il fantasista israeliano Ohana e il centravanti Den Boer. A completare infine il promettente mosaico è l’arrivo sulla panchina del trentanovenne Aad De Mos, proveniente da un buon triennio alla guida dell’Ajax.
La favola ha dunque inizio nella stagione 1986-87. I giallorossi non brillano né per il bel gioco né per la spettacolarità, ma il 4-4-2 disegnato dal tecnico olandese, modulo destinato a divenire il simbolo di quel Mechelen, denota una compattezza e un pragmatismo senza eguali. I risultati non tardano ad arrivare e la squadra si ritrova ben presto a contendere il titolo all’Anderlecht, che però la spunta al fotofinish: 57 punti per la squadra di Bruxelles, 55 per quella di De Mos che può comunque fregiarsi della miglior difesa del campionato con appena 18 gol subiti in 34 giornate. In ogni caso l’annata è tutt’altro che da buttare, anche perché riserva un’ultima incredibile sorpresa. Il 14 Giugno 1987 il Mechelen supera 1-0 il Liegi in finale di Coppa di Belgio, torna a ad alzare un trofeo dopo quasi quarant’anni e conquista il pass per la partecipazione alla Coppa delle Coppe della stagione successiva.
Il 1987-88 si apre con il Mechelen a contendere ancora il campionato al Club Brugge, che vincerà il titolo, e al Royal Antwerp in un avvincentissimo triello, ma la vera attrazione è la prima apparizione del club in una competizione europea. I primi turni di quella Coppa delle Coppe sono ampiamente abbordabili e vengono superati in scioltezza (1-0 e 2-0 ai rumeni della Dinamo Bucarest nei sedicesimi, 0-0 e 2-0 agli scozzesi del St. Mirren negli ottavi). Nei quarti di finale l’accoppiamento è un po’ meno fortunato e mette di fronte al Mechelen gli ostici bielorussi della Dinamo Minsk. Nella combattuta partita d’andata gli uomini di De Mos la spuntano grazie a un gol nel finale del centrocampista De Wilde, ma il difficile deve ancora venire. A Minsk si trovano infatti a fronteggiare 50.000 tifosi indiavolati e un campo ghiacciato a causa di una violenta nevicata. I belgi, attanagliati dal gelo sovietico, partono a rilento subendo le sortite offensive dei padroni di casa, ma al 29’ Ohana sfrutta un errore in impostazione della Dinamo e porta in vantaggio i suoi. La rete dell’israeliano sembra sciogliere i compagni dal freddo e dalle paure, dato che ora ai padroni casa servono tre gol; ne segnano soltanto uno all’ora di gioco, ma gli ultimi trenta minuti scorrono via senza particolari pericoli. Ora ad attendere i belgi in semifinale c’è l’altra favola della competizione, l’Atalanta. I nerazzurri hanno infatti preso parte al torneo dalla Serie B in virtù della retrocessione dell’anno precedente e si sono fatti strada con orgoglio, eliminando tra le altre il prestigioso Sporting Lisbona. Il match d’andata si gioca in terra fiamminga e si sblocca poco dopo il fischio d’inizio; al 7’ il solito Ohana controlla un traversone di Sanders dalla destra e in una frazione di secondo fulmina il portiere Piotti per l’1-0. Neanche il tempo di esultare che dopo trenta secondi il risultato torna in equilibrio grazie ad una situazione speculare a quella del gol belga, stavolta con marcatura dello svedese Stromberg sul primo palo. La partita si continua a giocare sul filo di lana ma quando ormai la sfida sembra destinata al pareggio, il Mechelen rimette la testa avanti: Koeman lascia partire un bolide dal limite dell’area sul quale il centrale atalantino Fortunato si immola a portiere ormai battuto, ma a rendere vano il miracolo è Den Boer che si avventa sulla respinta e fa 2-1 all’83’. La squadra allenata da un giovane Emiliano Mondonico si è rivelata un vero osso duro e al ritorno si presenta più agguerrita che mai. A Bergamo il peso della dispendiosa lotta per la promozione si dissolve nell’eco di un Comunale strabordante che crede fermamente nella rimonta. La Dea parte a ritmi forsennati e chiude sin da subito in area gli uomini di De Mos, tenuti in piedi esclusivamente dai miracoli di Preud’Homme. L’incontro si sblocca solo al 39’ grazie al rigore trasformato da Garlini, scaturito da un tocco di mano in area di capitan Clijsters, che al riposo qualificherebbe i lombardi. Una volta rientrati dagli spogliatoi però, i giallorossi cambiano marcia e già al 57’ trovano l’1-1 grazie ad un capolavoro di Rutjes, che con il mancino spedisce al volo il pallone nell’angolino opposto. A questo punto l’Atalanta si scopre per andare alla ricerca del gol che protrarrebbe la sfida ai supplementari, colpisce anche un palo, ma all’80’ sono gli ospiti a segnare; i nerazzurri sono sbilanciati, il terzino Emmers ne approfitta sganciandosi in avanti e dal limite fredda sul primo palo un non irresistibile Piotti. Al triplice fischio i belgi esplodono di gioia: sono in finale. Al loro esordio nelle coppe si ritrovano incredibilmente ad appena novanta minuti dal sogno proibito. L’ultimo ostacolo è però quello più periglioso. Nell’epilogo del torneo gli avversari saranno i mostri sacri dell’Ajax. La squadra di Amsterdam vanta un organico composto da nomi di spessore come quelli dei nazionali orange Blind e Bosman, del futuro laziale e interista Aron Winter e di un promettente diciannovenne di nome Dennis Bergkamp. L’ultimo atto va in scena l’11 Maggio 1988 a Strasburgo di fronte a 40.000 spettatori. I favori dei pronostici sono chiaramente tutti per gli olandesi, ma dopo appena un quarto d’ora le cose cambiano. Emmers attacca la profondità e sembra ormai lanciato a rete, ma poco prima di entrare in area viene steso da una scivolata disperata proprio del centrale Blind: cartellino rosso e Ajax già in dieci. I lancieri sono comunque più forti, ma l’inferiorità numerica livella il divario tecnico tra le due squadre e il risultato è una partita tesa, combattuta e poco spettacolare. Il primo tempo si chiude a reti bianche, ma poco dopo il rientro dagli spogliatoi il risultato cambia; allo scoccare del 53’ Ohana riceve un pallone sul fondo e in una frazione di secondo riesce a pennellare un cross al bacio per Den Boer che in corsa impatta di testa e fa 1-0. L’Ajax prova a reagire, ma le scorribande offensive si infrangono sulla granitica difesa belga e in particolare su un Preud’Homme in stato di grazia. Il tempo scivola via e al triplice fischio il punteggio non è cambiato. L’impresa è compiuta. Al loro esordio assoluto in Europa i giallorossi possono alzare al cielo francese una Coppa delle Coppe dal sapore di impresa.
La favola pare destinata a durare a lungo, anche perché l’anno successivo arrivano in sequenza il trionfo in Supercoppa Europea ai danni del PSV Eindhoven (ultimo trionfo internazionale di una squadra belga), ma soprattutto la conquista del campionato, ottenuto a quarantuno anni di distanza dall’ultimo. A fine stagione, dopo tre anni indimenticabili, De Mos esce di scena per andare all’Anderlecht. Per il Mechelen è la fine di un poetico sogno e l’inizio del declino. A causa dei problemi economici Cordier è costretto a smantellare la squadra nel giro di pochi anni e nel ’97 arriva addirittura la retrocessione in Tweede Klasse. In neanche dieci anni il ricordo di quei successi appare lontano anni luce e ingiallito dal tempo, ma nulla potrà mai cancellare le imprese di quella squadra che ammaliò l’Europa e si conquistò di diritto un posto nella storia del calcio.