(di Gianluca Guarnieri) 6 Ottobre 1991, in un pomeriggio di inizio autunno il catino dell’Olimpico ribolliva di passioni contrapposte, visto che andava in scena il derby capitolino, con il suo consueto turbine di emozioni e nevrosi, tipiche di una città legata in modo viscerale alle proprie squadre.
In quella occasione, per la squadra giallo-rossa allenata da Ottavio Bianchi, le cose non andavano per il verso giusto, visto che la Lazio di Dino Zoff conduceva la stracittadina per 1-0, con la rete del tedesco Riedle, e gli sforzi romanisti non sembravano produrre granché per risalire una china, apparentemente impervia.
Darsi per vinti, per giunta contro l’avversario di sempre? Giammai e questo deve aver pensato Sebino Nela, uno che in campo non le ha mandate a dire a nessuno, mentre all’85’ minuto lanciava palla di sinistro verso destra, chiamando in causa “Tommasino” Haessler , ala destra di statura ridotta ma di gran piede. Il “puffo tedesco”, grande amico del sublime Rudy Voeller passaporto teutonico ma cuore testaccino, ritenne di provare il cross dalla destra cercando un piede (o una testa) amico per salvare il salvabile. Tommasino era uno che crossava bene e mise in mezzo una bella palla, magari un po’ alta, che pervenne nel mezzo dell’area di rigore di Curva Sud, dove erano appostati Cristiano Bergodi, difensore di Bracciano particolarmente allergico ai colori oro e porpora, e il numero 11 romanista; tra i due litiganti la differenza di statura saltava agli occhi, ma a volte non basta essere più alti per poter scalare l’Everest calcistico e entrare di diritto nella vorticosa storia del Derby. Il numero 11 ci entrò, e dalla porta principale, andando a staccare perfettamente, a differenza del suo goffo marcatore laziale, e mandando il pallone ad adagiarsi morbidamente nella rete sotto l’avamposto lupesco, letteralmente impazzito di felicità.
Quel numero 11 di felicità ne avrebbe dispensate, legato da un vincolo fortissimo con la maglia giallorossa, quasi fosse un tifoso proveniente dal Tufello o dalla Garbatella, non da una piccola città pugliese come Margherita di Savoia: quel numero 11 era Ruggiero Rizzitelli!
Agile, veloce, dotato di una buonissima tecnica individuale, ma allo stesso tempo grintoso, battagliero e combattivo, Rizzitelli calcisticamente emerse a Cesena, in Romagna dove nella stagione 1987/88 divenne l’autentica rivelazione del campionato, con immediata convocazione nella giovane Italia, di Vicini in vista dell‘ Europeo di Germania. Con 30 presenze e 5 goal, oltre ad un gran numero di assist preziosi per i propri compagni, il giovane attaccante fu preso nel mirino dei grandi club italiani, con la Juve in pole position, ma a sorpresa la destinazione finale del virgulto cesenate, fu Roma sponda romanista. Dino Viola, con la consueta abilità strategica riuscì a spuntarla su Boniperti e soci, consegnando l’attaccante pugliese al suo “Barone” Nils Liedholm , in una Roma composta da campioni quali Voeller, Nela , Giannini e da illustri bidoni quali il brasiliani Andrade e Renato, con una serie di calciatori verso la via del tramonto quali Collovati e Moreno Ferrario. L’approccio fu positivo, ma la stagione della Roma no, con una serie di problemi che portarono all’allontanamento di Liedholm, prontamente riportato in panchina dopo i disastri della coppia Spinosi-Lupi, e con una qualificazione Uefa sfuggita, nello spareggio di perugina, per opera della Fiorentina e di Roberto Pruzzo, puntuale all’appuntamento con il goal dell’ex.
Era la fine di un ciclo e l’addio alle armi per un pezzo di Roma Scudetto ’83, con la complicanza di un esilio allo stadio Flaminio, dovuto ai lavori per gli imminenti Mondiali 1990. Serviva gente tosta, e un allenatore pronto a combattere, ed entrambi arrivarono: Cervone, Comi, Berthold, e il “Sergente di Ferro” Gigi Radice, vincitore delle Scudetto 1976 con il Toro dei “Gemelli del Goal” Pulici e Graziani, a rendere più roccioso un organico non impeccabile l’anno precedente. In questo contesto, Rizzitelli andò a nozze, formando con il “Tedesco volante” un tandem efficacissimo, assistito dai tocchi sapienti di Giuseppe Giannini, e in generale da una compattezza di squadra ritrovata, fomentata dal piccolo impianto, divenuto una vera e propria “fossa dei lupi”. Rizzitelli fece il suo, da seconda punta pronto ad incursioni improvvise e ad un costante pressing, nobilitato da corse a perdifiato, che mandarono in visibilio i tifosi che rividero in questa squadra i cromosomi della squadra dei Ferraris IV e dei Bernardini . Il feeling continuò anche l’anno seguente, con l’approdo di Ottavio Bianchi in panchina e una serie di disgrazie e problemi che avrebbero schiantato qualsiasi team: la morte del “presidentissimo” Viola e la squalifica per Peruzzi e Carnevale per il caso “Lipopil” sopra tutto. La squadra dimostrò il proprio valore e Ruggiero fu sempre in prima fila: indimenticabili i suoi goal alla Juve in Coppa Italia, a Milan ed Inter in campionato e nella finale di ritorno di Coppa Uefa, dove il pugliese colpì un palo maledetto, che forse avrebbe schiuso le porte di un meritato trionfo. Con i rimpianti non si va lontano e quella Roma così veracemente garibaldina andò a prendersi una meritatissima Coppa Italia, sconfiggendo una fortissima Sampdoria , fresca di scudetto e vogliosa di portarsi in bacheca anche questo trionfo.
Ruggiero fu protagonista , come lo fu nelle stagioni successive, portando il suo contributo di grinta, foga, rabbia e classe, in una Roma magari non agli stessi livelli di classe di quella dell’anno di Grazia 1983, ma ricca di anima e spirito di sacrificio, degna del numero 11 pugliese, che avrebbe mostrato attaccamento in ogni occasione. Un tifoso in campo, con lo stesso animo ribollente dei ragazzi del CUCS o dei Fedayn. Una merce rara, anche oggi e forse soprattutto oggi. Ma Rizzitelli è ancora quello che volava sotto la Sud, dopo aver segnato ad Inter, Milan, Juve e Lazio, non nascondendo da apprezzato commentatore televisivo, il suo amore per la maglia difesa con onore per tante e tante volte. Tanti puristi storceranno il naso, ma cosa importa. Certe cose non cambiano mai.