Velasco a Modena, il ritorno di re Artù

Posted By on Mar 1, 2019 | 0 comments


 

 

Di Matteo Quaglini

 

A volte ritornano, come nei film. Lo fanno perché nel loro cuore non hanno compiuto del tutto la parabola nel posto dove sono stati grandi. E’ l’idea di sconfiggere nemo profeta in patria. E’ il fascino di riassaporare le atmosfere della città che li ha resi condottieri. E’ l’ambizione di rivincere per riportare in alto la bandiera del proprio cuore sportivo.

Molto napoleoniche come emozioni. L’esilio, il ritorno in Francia, la corsa forsennata verso la Parigi di nuovo monarchica, i cento giorni e la battaglia più famosa dell’800, tutti i “ritorni”dell’imperatore nei luoghi delle sue immaginifiche vittorie. Un viaggio imitato dagli allenatori, che sono i generali del mondo contemporaneo.

Così Julio Velasco è tornato a Modena, culla per eccellenza della pallavolo italiana. Mancava dal 2006 nella città che fu di Giuseppe Panini e Enzo Ferrari, esarchi per una volta non ravennati della storia modenese. Dopo quell’esperienza non proprio felice che terminò con molte polemiche tra Julio e i suoi pretoriani brasiliani, il grande allenatore argentino ha viaggiato ramingo tra Montichiari e dieci anni di nazionali: dalla calda Spagna, al fascinoso Iran fino alla natia Argentina allenata per la prima volta come capo coach.

Tredici anni dopo, il ritorno. La “vuelta” nella città della Ferrari, per riscoprire gli umori legati alla competenza critica del pubblico del “Tempio”, il Pala Panini gremito oggi come nel 1985 di esperti massimi della pallavolo, druidi del gioco della palla in aria.

Un ritorno al futuro, perché in fondo la vita è un lungo viaggio che si fa all’indietro per completare ciò che si è lasciato. Un ritorno quello del maestro Velasco fatto di cuore e ragione e della voglia di rivincere lo scudetto, per festeggiare e non spiegare come recita una delle sue massime più forti e riuscite.

Julio Velasco italiano d’adozione e argentino di nascita e cultura ha ripetuto il viaggio napoleonico di molti allenatori di calcio. Vincenti come lui e come lui, chiamati dalla vita al loro ritorno al futuro. Come Velasco sono tornati: Fabio Capello, Helenio Herrera, Nereo Rocco, Giovanni Trapattoni e Marcello Lippi. Grandi allenatori che sono andati incontro ai loro cento giorni da imperatori moderni, per sovvertire Waterloo e rivincere dove avevano fatto la storia.

Alcuni ci sono riusciti, altri hanno alternato la sconfitta con la vittoria, altri hanno perso non riuscendo a ripetere la gloria. Julio Velasco è tornato a Modena perché legato emotivamente alla via Emilia che tutto crea nella pallavolo italiana. Recentemente ha detto: “ Quando mi hanno chiamato non ero formato, io non mi sarei chiamato”, ma il Cavalier Giuseppe Panini, l’uomo delle figurine più famose nella storia del calcio, seguì l’intuizione jesina di Cormio e volle l’argentino dalla voce calda e dall’eloquio filosofico sulla panchina della Juventus del volley per vincere un campionato che mancava dal 1976.

La partita venne vinta come le campagne napoleoniche dei primi anni, trionfalmente. Quattro scudetti consecutivi. Oggi Velasco sogna di tornare alla vittoria, sogna come fece nell’estate del 1997 Fabio Capello quando tornò al Milan di Berlusconi.

Lasciò tutto Don Fabio, Madrid e il Real e l’idea di vincere la coppa dei campioni, per essere di nuovo profeta della Milano rossonera che con lui aveva vinto 4 scudetti e una coppa dei campioni memorabile battendo il Dream Team di Cruijff.

Voleva aprire un nuovi trionfi, trovò una squadra appesantita mentalmente dai tanti successi per il mondo. I suoi si erano trasformati nei marescialli di Napoleone del 1814, quelli che per difendere i loro tesori chiesero all’imperatore di abdicare. E quelli, che a Waterloo avevano perso la voglia di vincere. Finì con un decimo posto, una coppa Italia persa contro la Lazio, e con un esonero. Dopo vent’anni di Milan tra giocatore, allenatore giovanile e capo coach, la storia di Don Fabio sul naviglio rossonero terminò senza il commiato della vittoria.

Nel 1985 Velasco iniziò ad allenare una Panini piena di campioni tristi. Lo scudetto perduto tra le polemiche l’anno prima aveva minato il morale dei corsari dell’ammiraglia della pallavolo. Ma erano campionissimi nel cuore oltre che nella tecnica. Esattamente come gli uomini di Helenio Herrera, depositari col mago della grande Inter: Picchi, Burgnich, Mazzola, Facchetti erano cavalieri alla corte del re come Bernardi, Cantagalli, Lucchetta e Vullo lo erano per il ducato di Modena.

Quando Herrera tornò all’Inter nell’estate del 1973 il fluido era oramai un ricordo. Le sue frasi magnetiche erano come le foglie d’autunno, appassite. C’erano dei reduci dell’Inter della gloria, ma “Taca la bala”, “Vincerete perché siete i più forti”, “Inter stella mondiale” erano diventati slogan vuoti e non più gridi di battaglia.

Julio Velasco ha vissuto una situazione simile nel biennio 2004-06 avaro di risultati e intriso di polemiche. Si era trattato di un ritorno simile a quelli di Trapattoni e Lippi sulla panchina della Juventus, grigio.

Sì perché tutti e tre quando vennero assunti erano giovani con molte idee e poca esperienza: Velasco veniva da Jesi, Trapattoni da tre anni come secondo rampante di Nereo Rocco, Lippi era un enfant prodige che aveva allenato benissimo a Bergamo e Napoli. Cosa fanno Juventus e Modena, assumo i ragazzi alle prime armi? Domande superficiali che dimenticavano l’idea della carriera aperta al talento e alla competenza di illuministica e rivoluzionaria memoria.

Vinsero subito, insegnarono e impararono. Per questo il ritorno poi del Trap nel ‘91 fu grigio, c’erano si Boniperti e la famiglia Agnelli, Baggio e Vialli, eppure il tempo era avanti non lì ma da Berlusconi e il Milan.

Lo stesso avvenne per il Lippi bis, che pure portò due scudetti e una finale dei campioni, non c’era più nel 2004 l’alone dei primi quattro anni e poca convinzione equivale a poca forza nel realizzare idee.

Oggi, a Modena, Velasco lavora affinché il suo ritorno sia come quelli di Rocco, Liedholm e Capello in versione madrilena, vincente. Ognuno trovò una formula tecnica che può adattarsi alla squadra dell’argentino. Il Paron seppe unire tutti gli uomini offensivi da Rivera a Hamrin da Sormani a Prati, mentre Liedholm trovò nel rivoluzionario gioco a zona l’architrave della sua Roma manovriera. Don Fabio, dopo un inizio incerto, impose la mentalità vincente, quella del non si molla mai e degli occhi di tigre, pilastri di Velasco nella costruzione mentale delle squadre.

Nereo Rocco rivinse determinando la fine dell’Inter Euro-mondiale, Liedholm conquistò uno scudetto storico nella Roma e Don Fabio batté il Barcellona di Bobby Robson e José Mourinho più forte dei suoi Hidalgos.

La costruzione di Velasco è in cammino e deve progredire per sbocciare nei playoff, ma sono proprio le idee dei tre allenatori suoi epigoni, su cui Julio vuole costruire a Modena: Un insieme di giocatori forti per applicare il gioco di squadra, una filosofia di gioco chiara e una difesa che non molla mai. Per un nuovo scudetto e un ritorno da re. Mucha Suerte, Julio.

 

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