di Michele Plastino
Seconda volta quest’anno che piango un grande Felice. Prima l’amico Pulici ora il campionissimo Gimondi. Dal calcio al ciclismo, passione di tanti. Quando ero bimbo, da buon figlio unico, inventavo giochi. Ed erano sempre simulazioni di calcio e ciclismo. Da adolescente mi innamorai di Gimondi, sin dai tempi della sua vittoria al tour de l’avenir che era il giro di Francia per giovani. Una manifestazione bellissima e già in quella occasione feci un tifo pazzesco per lui è ne divenni grande sostenitore. Poi arrivo’ la vittoria al tour per grandi e per me divenne un mito. Per questo un giorno, marinando, colpelmente, la scuola andai al mitico bar Vanni, una istituzione a Roma per incontri e appuntamenti. Ci vediamo da Vanni e’ stato anche un titolo di un bel libro. Nel sedermi in attesa di altri compagni trasgressivi lo vidi. Non mi sembrava possibile. Lui,il mio mito,era lì. Era Gimondi in carne ed ossa. Da solo, seduto davanti ad un cappuccino a leggere un giornale. Vinsi la timidezza. Mi avvicinai e gli chiesi un autografo. Lui mi sorrise, prese la penna incastrata nell’elastico azzurro che raccoglieva i miei libri e mi chiese dove poteva apporre la firma. Gli diedi velocemente il Lamanna, testo di filosofia, la materia da me più amata. E allora lui ancora più sorridente, sfoglio’ la prima pagina per trovare un po’ di bianco e scrisse dedica e firma. Era il primo autografo della mia vita. Ed stato anche l’ultimo. Unica volta che ho chiesto una firma per consacrare un mito. Quella firma, scritta da lui non e’ paragonabile a nessun selfie con pose improponibili. E’ la firma di chi, nel suo campo, ha fatto la storia. Per questo per me e’ rimasta l’unica. E indelebile. Come il ricordo che ho di lui. Addio grande mio mito.