di Marco Bea
La Lazio non sfigura ma esce comunque sconfitta per 1-0 nella trasferta di San Siro contro l’Inter, in una partita che ha fatto da manifesto dell’attuale dimensione dei biancocelesti. Al netto di un risultato che, di per sé, ci può anche stare e di un Handanovic in versione saracinesca è doveroso scavare un po’ più in profondità nei 90’ minuti, per comprendere in maniera ancora più chiara questo inizio di stagione con più ombre che luci per i capitolini. La verità è che ieri sera sono infatti state messe a nudo tutte le differenze tra una squadra che sta studiando da grande ed un’altra ancora alla ricerca di una propria collocazione nello scacchiere del campionato.
Il gap si è visto innanzitutto a livello di interpreti, specialmente in un turno, come quello infrasettimanale, in cui gli allenatori si sono ritrovati a giostrare qualche pedina rispetto all’ultima uscita. Il paradosso è che in casa Lazio sono stati proprio gli elementi più freschi a faticare di più, nonostante il match non si sia consumato su ritmi vertiginosi. Nella lista dei peggiori sono infatti finiti gli esterni Lazzari e Jony, forse ancora acerbi per simili palcoscenici ed entrambi coinvolti non a caso nella rete decisiva di D’Ambrosio, bravo a sovrastare di testa il suo dirimpettaio iberico su uno spiovente di Biraghi dalla sinistra, concesso con troppa facilità dallo stesso Lazzari. Piuttosto eloquente anche la dissonanza tra gli uomini subentrati a partita in corso, con Immobile, Leiva e Berisha che non sono stati in grado di dare una scossa alla contesa, mentre Sensi, Lautaro e Sanchez hanno invece contribuito dall’altra parte a congelare la situazione nella seconda metà della ripresa. Ed ecco qui emergere anche le differenze a livello di manico, ancor più pesanti quando si viaggia sul filo dell’equilibrio e del tatticismo. Oltre che a far sentire suo carisma nei momenti delicati Conte non ha infatti sbagliato nulla anche nella gestione dei cambi, dando nuova linfa sia al centrocampo, dove fino al 57’ aveva agito un impalpabile Vecino, che all’attacco per far arretrare il baricentro della Lazio. Pur con una panchina più corta a disposizione Inzaghi non ha invece convinto in nessuna delle sue scelte, non solo per essersi limitato a delle semplici sostituzioni ruolo per ruolo. Nell’arco di 20’ il tecnico piacentino ha rinunciato sia a Caicedo, il migliore dei biancocelesti per distacco fino a quel momento, che a due giocatori di pensiero e qualità come Milinkovic e Luis Alberto, per inserire un Immobile ancora irrequieto e la coppia Leiva-Berisha, non proprio l’ideale per ribaltare un risultato.
Giusto infine tornare sul piano della convinzione e della cattiveria agonistica, nel quale la Lazio continua a palesare degli handicap considerevoli. Emblematica in tal senso la scarsa verve realizzativa di Correa, troppo molle per abbattere il muro di Handanovic, straordinario in almeno un paio di interventi ma graziato da “El Tucu” in una clamorosa occasione a tu per tu al 33’. Di contro l’Inter è apparsa più decisa e vogliosa di portare a casa i 3 punti, accettando senza timori anche la fase di sofferenza prolungata tra il gol del vantaggio e la fine del primo tempo. È proprio da questo genere di consapevolezza che nascono gli 8 punti di distacco in classifica tra i nerazzurri e i biancocelesti, chiamati ora a dare una sferzata nelle prossime partite. Gli incroci con Genoa, Rennes e Bologna prima della sosta di ottobre non esprimeranno forse sentenze definitive, ma ci daranno ulteriori indizi su quale piega prenderà questa stagione.