di Lucio Marinucci
Venerdì 25 Marzo 2022, giorno 0. Credevamo di non dover più rivivere un risveglio traumatico come lo era stato quello di quattro anni e mezzo fa, all’indomani della fatidica partita contro la Svezia, e in effetti avevamo ragione. La consapevolezza di oggi è infatti quella di essere andati ancora più in basso di quella notte a San Siro, di essere paradossalmente andati più in giù del fondo del barile. La debacle di Ventura era stata il frutto inevitabile di una parabola discendente della nostra nazionale, che da troppo non viveva un’inversione di tendenza sostenibile. Da lì era iniziato il percorso di Mancini, capace in pochi anni di restituire coraggio, identità ed entusiasmo ad un gruppo giovane e soprattutto forte. Il fantastico Europeo della scorsa Estate ci aveva illuso di avercela fatta, di aver finalmente costruito un edificio dalle fondamenta ben salde, capace di regalarci esclusivamente successi e soddisfazioni. Tempo una manciata di mesi e abbiamo dovuto ricrederci. Quell’edificio si è dimostrato ben presto fatiscente e sono bastate poche crepe a far crollare tutto. Costruire dal nulla è normale, ricostruire sul nulla è deprimente. Questa volta la sensazione è di totale smarrimento, di essere stati traditi da un destino apparentemente felice, da un futuro che da roseo ha assunto una asfissiante sfumatura tenebrosa.
L’aspetto più doloroso della faccenda è la presa di coscienza che l’avventura di Euro2020 non sia stata altro che un sussulto al netto di sedici anni di fallimenti. È triste, ma l’analisi scientifica del momento del nostro calcio dice questo. Del resto i risultati della nazionale sono legati a doppio filo con quelli delle squadre di club in campo internazionale, dove non vinciamo da troppo. A dimostrare questo progressivo declino è il dato che riguarda i successi europei dei club italiani nel corso dei decenni: anni ’60, 6 trofei (4 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe); anni ’70, 2 trofei (1 Coppa Uefa, 1 Coppa delle Coppe); anni ‘80, 7 trofei (3 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Uefa, 2 Coppe delle Coppe); anni ’90, 10 trofei (2 Champions, 6 Coppe Uefa, 2 Coppe delle Coppe); anni 2000, 3 trofei (3 Champions) ed infine anni 2010, 0 trofei. Risultato, il calcio italiano non è mai stato così poco competitivo come lo è ora. È da tempo che la stragrande maggioranza dei titolari azzurri non gioca con regolarità in Champions League e quando ci riesce a malapena supera la fase a gironi. Anche la nostra Serie A deve essere rivista in maniera netta, dato che venti squadre sono troppe e l’unico risultato che si ottiene è quello di un livello basso e non allenante. Infine il perpetuo braccio di ferro tra i club della Lega di Serie A e la FIGC non giova all’ambiente. Le società del massimo campionato hanno il diritto di difendere i propri investimenti, ma se la soluzione è fare guerra alla Federazione poi non è il caso di stracciarsi le vesti.
Sulla partita con la Macedonia è inutile spendere troppe parole. La sconfitta ha dell’assurdo ed è stata totalmente immeritata, ma in campo abbiamo avuto paura. La schiacciante superiorità tecnica doveva spingerci a puntare di più l’uomo e a calciare con la convinzione di essere i Campioni d’Europa. Mancò la fortuna certamente, ma prima ancora mancò il coraggio.
Innegabilmente nei prossimi anni andranno riviste molte cose, partendo dall’aspetto tecnico fino ad arrivare a quello istituzionale. Guardando al futuro prossimo invece l’unico pensiero che ci accompagnerà è che quell’aereo per il Qatar non lo prenderemo mai e che l’unica cosa che ci resta sono le lacrime per un Mondiale che, di nuovo, non disputeremo. In attesa di una vera rinascita, non ci tocca che affogare in un profondo azzurro.